La storia narra che il modello fu scarabocchiato su un tovagliolo dall’economista Arthur Laffer nel 1980 per illustrare a Ronald Reagan, ancora in campagna elettorale, quali fossero i benefici di una riduzione delle imposte dirette, visto che, con l’amministrazione Carter, le aliquote marginali statunitensi erano paragonabili a quelle europee odierne, e gli USA si trovavano in una situazione di crisi economica veramente preoccupante. Il neo presidente prese seriamente i suggerimenti di Laffer tanto che, dopo aver puntato la sua campagna elettorale all’insegna di un ritorno a politiche economiche più liberiste ed a una minore intrusione da parte dello Stato nella vita dei cittadini, operò un drastico taglio di imposte tanto che nei primi tempi si vide un crollo del gettito e un’impennata del debito pubblico. Tuttavia in seguito, improvvisamente, le entrate ricominciarono a crescere in maniera sostenuta, l’economia riprese un sentiero virtuoso di crescita reale creando le basi per il fortissimo sviluppo che gli Stati Uniti videro tra gli anni ’80 e gli anni ’90 del secolo scorso. Benché, ad onor del vero, il deficit pubblico americano crebbe a dismisura viste le ingenti spese militari stanziate dall’amministrazione Reagan. Tuttavia, ciò non intacca minimamente la teoria, visto che, in effetti, le entrate fiscali aumentarono sensibilmente in quegli anni e fu solo l’aumento spropositato della spesa pubblica che spinse il debito sovrano verso livelli più alti.
Il modello si basa sulle serie storiche e sulla teoria generale keynesiana, dove il debito pubblico è pari alla differenza fra gettito fiscale e spesa pubblica, ed il gettito fiscale è dato dal prodotto fra l’aliquota media ed il PIL nazionale. Laffer, stanti queste ipotesi, sostiene che esista un’aliquota massima oltre la quale i cittadini sarebbero disincentivati sia a produrre ricchezza, perché non più remunerativa, sia a spendere, visto che il potere d’acquisto viene eroso dalla stretta fiscale. La conseguenza è un calo del PIL e, di seguito del gettito, obbligando, per il mantenimento della spesa corrente dello Stato, ad un livello maggiore di indebitamento e ad un ulteriore inasprimento fiscale (con la creazione di un circolo vizioso di tasse-debito-tasse).
Per quanto non direttamente riconducibile ad un’osservazione empirica - il che, come si dirà appresso, è poi è il vero tallone d’Achille dell’intero teorema - la “verità scientifica” accreditata dalla “curva di Laffer” poggia su principi economici elementari: vale la legge della domanda e dell’offerta e vale il principio del costo opportunità. In altre parole, esiste un punto oltre il quale la pressione fiscale non rende più conveniente una certa impresa economica a meno di incentivare l’imprenditore a riorientare l’investimento.
Il premio Nobel Joseph Stiglitz definisce, con tono dispregiativo, “scarabocchiata su un tovagliolo”.