In Argentina, dove Ernesto Guevara nacque nel 1928, tra i giovani è diventato un modo di dire: «Tiengo una remera del Che y no sé por qué». Vuol dire: «Ho una maglietta del Che, ma non so per quale motivo», è caratteristico per i seguaci di un culto non di conoscere la vita reale del loro eroe, la vera storia.
Il Che divento' una icona, un mito , per quasi tutti fu il difensore dei deboli e degli oppressi, ma non tutti sanno che El Che fu anche un sanguinario assassino; l’eroe dei “diseredati” ebbe un ruolo fondamentale nella costruzione dei campi di lavoro forzato di Guanahcabibes, dove finirono i cittadini che si erano macchiati di “gravi crimini contro la morale rivoluzionaria”, ovvero religiosi, ribelli non politici e omosessuali e “pervertiti” ( concetto molto vago). Sulle porte dei campi di lavoro c’era una scritta eloquente: ” Il lavoro vi renderà uomini”.
Da anni, il progetto Cuba Archive sta facendo il conto delle vittime della rivoluzione cubana, per le quali esista conferma da parte di almeno due fonti indipendenti e alle quali sia possibile attribuire un nome.
Quattordici nemici, o presunti tali, furono eliminati dal comandante, direttamente o su suo ordine, in Sierra Maestra, durante la guerriglia contro gli uomini di Fulgencio Batista, tra il 1957 e il 1958. Dal 1 al 3 gennaio del 1959, appena catturata la cittadina di Santa Clara, mandò a morte altre 23 persone. Ma il grosso del sangue il futuro idolo dei pacifisti lo versò in qualità di comandante della Cabaña, la fortezza dell’Havana adibita a prigione. Tra il 3 gennaio e il 26 novembre del 1959 sono attribuite a Guevara ben 164 esecuzioni. Vista la metodologia dell’indagine, si tratta di numeri necessariamente approssimati per difetto: altre fonti parlano di almeno quattrocento uccisioni solo nel carcere dell’Havana.
Javier Arzuaga, il cappellano basco che a La Cabaña era incaricato di confortare i condannati a morte, ha raccontato quei mesi da incubo ad Alvaro Vargas Llosa (“Il mito Che Guevara e il futuro della libertà” pubblicato in Italia da Lindau): «c’erano circa ottocento prigionieri in uno spazio adatto per non più di trecento persone: personale militare e di polizia di Batista, alcuni giornalisti, alcuni uomini d’affari e commercianti. Il tribunale rivoluzionario era composto da uomini della milizia. Che Guevara presidiava la corte d’appello. Egli non modificò mai una sentenza. Io visitai quelli del braccio della morte. Girava la voce che io ipnotizzavo i prigionieri perché rimanessero calmi, così il Che ordinò che io fossi presente alle esecuzioni. Dopo che io lasciai l’incarico a maggio, vennero giustiziate molte più persone, ma io personalmente fui testimone di cinquantacinque esecuzioni. C’era un Americano, Herman Marks, che dava l’idea di un criminale. Noi lo chiamavamo “Il Macellaio” perché godeva nel dare l’ordine di sparare. Io supplicai molte volte il Che a nome dei prigionieri. Ricordo particolarmente il caso di Ariel Lima, un ragazzo. Il Che non si mosse. Né lo fece Fidel a cui andai a fare visita. Fui così traumatizzato che alla fine di maggio di quell’anno mi fu ordinato di lasciare il villaggio di Casa Blanca dove si trovava La Cabaña e dove dicevo messa da tre anni. Andai in Messico per cure. Il giorno che andai via, il Che mi disse che noi tentammo di modificare le opinioni dell’altro a vicenda ma senza risultato. Le sue ultime parole furono: “Quando noi ci toglieremo la maschera ci scopriremo nemici”».. Nessuna pietà. Lo confermano le parole del giurista José Vilasuso, che all’epoca faceva parte del tribunale di La Cabaña: «Le direttive del Che stabilivano che dovessimo agire nel modo più risoluto, vale a dire che [gli accusati] erano tutti assassini e che il modo rivoluzionario di procedere doveva essere implacabile». Un ex comandante delle truppe di Guevara, Jaime Costa Vázquez, ha raccontato che i suoi ordini erano chiarissimi: «Nel dubbio, fucilare».
È stato calcolato, e lo riporta lo scrittore Humberto Fontova, che Guevara fece uccidere sul posto tra il 70 e l’80 per cento dei contadini che si opponevano alla sua avanzata.
Luis Guardia e Pedro Corzo, due ricercatori della Florida che stanno lavorando a un documentario su Guevara, hanno ottenuto la testimonianza di Jaime Costa Vàzquez, un ex-comandante dell’esercito rivoluzionario conosciuto come «El Catalàn», che riteneva che le numerose fucilazioni attribuite a Ramiro Valdés, futuro Ministro degli Interni di Cuba, fossero diretta responsabilità di Guevara, in quanto sulle montagne Valdés era sotto i suoi ordini.
FRASI DI CHE GUEVARA:
«Qui nella giungla cubana vivo e assetato di sangue»
«Amo l'odio, bisogna creare l'odio e l'intolleranza tra gli uomini, perché questo rende gli uomini freddi e selettivi e li trasforma in perfette macchine per uccidere.»