In italiano il termine “Hate speech” è tradotto con le parole “incitamento all’odio” ma, il vero significato di queste due parole, è molto più profondo e concerne aspetti della vita che trascendono quello che è il solo comportamento online. Le parole che vengono espresse nell‘ Hate speech sono infatti dei veri e propri discorsi offensivi rivolti a un gruppo o ad un singolo individuo, sulla base di caratteristiche intrinseche, sessuali o religiose e, la maggior parte delle volte, questi discorsi sono basati su degli stereotipi.
L’utilizzo dei media per incitare all’odio verso delle minoranze o dei gruppi non è una novità dell’era di internet, basti pensare ai “Protocolli dei Savi di Sion” che hanno dato origine ai vari pogrom tra la fine del ‘800 ed i primi anni del ‘900, oppure all’utilizzo della propaganda (sempre antisemita) operata dal regime Nazista per giustificare l’Olocausto.
Alla fine degli anni ’90 del XX secolo il fenomeno dell’ “Hate Speech” e dei diritti civili nel cyberspazio iniziò ad essere dibattuto dalla giurisprudenza statunitense con una certa preoccupazione ed un grande senso di urgenza.
Nei paesi democratici, i media definiti tradizionali, hanno da tempo adottato dei codici deontologici atti a impedire l’utilizzo dell’incitamento all’odio, così come i singoli stati e le istituzioni nazionali e sovranazionali hanno iniziato, a partire dal primo decennio del XXI secolo, ad attuare delle leggi e delle riforme atte a contenere quello che, a tutti gli effetti, può essere considerato un reato.
In particolare, nell’ultimo decennio, l’attenzione dei vari legislatori si è focalizzata sull’uso di un linguaggio d’odio verso gruppi etnici, minoranze, singole persone o categorie (giornalisti, magistrati, poliziotti, ecc.) nell’ambito dei social media e del mondo internet: infatti dato che il cyberspazio offre libertà di comunicazione e di esprimere le proprie opinioni liberamente, gli attuali social media vengono spesso utilizzati in modo improprio per diffondere messaggi violenti, commenti e discorsi che incitano all’odio.
Un primo passo
Nel maggio del 2016 Facebook, Microsoft (per quanto riguarda i servizi ai consumatori da loro ospitati), Twitter e YouTube hanno sottoscritto un codice di condotta per contrastare la diffusione di contenuti che incitano l’odio in Europa. Nel 2018 anche Instagram e Google+ (non più attivo) aderirono all’accordo a dimostrazione di quanto le piattaforme online prendano in considerazione questo fenomeno.
Riassumendo brevemente il codice di condotta scopriamo che impone a tutte le società informatiche firmatarie norme che vietano agli utenti di postare contenuti che incitano alla violenza o all'odio ai danni di gruppi protetti; come conseguenza, tutte le piattaforme hanno aumentato considerevolmente il numero di persone che monitorano e esaminano i contenuti. Secondo alcuni test fatti dalla Commissione Europea già nel 2018 la maggior parte delle società firmatarie rimuovono in media l’89% dei contenuti segnalati entro le 24 ore o ne bloccano l’accesso in attesa di ulteriori verifiche.
Visto che il codice di condotta integra, a livello giuridico, quanto contenuto nel “Quadro 2008/913/GAI del Consiglio, del 28 novembre 2008 , sulla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale”, tutte le società che hanno aderito al codice di condotta hanno designato rappresentanti o uffici locali nei vari paesi, al fine di facilitare la comunicazione e la cooperazione tra le società e le autorità nazionali: il “quadro 2008/913/GAI” impone che gli autori di reati di illecito incitamento all'odio, siano essi online o offline, siano perseguiti in modo efficace.
Va infine segnalato che, ad oggi, la maggior parte delle segnalazioni non vengono fatte da altri utenti, ma da sistemi di AI automatici che talvolta non riescono a contestualizzare una discorso o una parola e generano anche dei falsi.
Tipi di odio online più diffusi
Dobbiamo distinguere due tipi di incitamento all’odio: quello indirizzato a dei gruppi o quelli ad una singola persona. Tra quelli in gruppi risultano più evidenti alcuni sottogruppi.
- L’incitamento all'odio religioso online è un tipo di “Hate speech” che è definito come l'uso di parole infiammatorie ed un linguaggio settario per promuovere l'odio e la violenza contro le persone sul in base alla loro appartenenza religiosa. A livello mondiale la religione più soggetta a questo tipo di odio è l’Islam: i contenuti anti-islamici si esprimono lungo un ampio spettro di strategie discorsive, in cui le persone giustificano l’opposizione all’Islam basata principalmente sulle azioni terroristiche dei musulmani in diversi paesi. L’hashtag #StopIslam è stato utilizzato per diffondere discorsi di odio razziale e, la disinformazione diretta verso l’Islam e i musulmani, è andata avanti su Twitter dopo gli attacchi terroristici del marzo 2016 a Bruxelles
- Il razzismo online è un altro tipo di razzismo indirizzato a dei gruppi identitari e spesso si identifica con la xenofobia. Pur non essendo un fenomeno nuovo il razzismo, spostato online, acquista maggiore forza dato che nel buio della propria stanza gli utenti del web hanno meno paura ad esprimere le loro idee.
- L’odio politico, quando espresso online, ha la stessa forza e “cattiveria” che si trova nell’odio raziale e, talvolta, si incrocia: in Gran Bretagna, i tweet dopo il referendum sulla “Brexit”, sono stati seguiti da un aumento degli episodi islamofobici. Questi sentimenti anti-islamici erano legati alla religione, all'etnia, alla politica e al genere, promuovendo la violenza simbolica.
Spesso l’odio politico e di genere si mescolano arrivando a conseguenze catastrofiche come nel caso della deputata presso la Camera dei Comuni del Regno Unito Jo Cox, alla quale è stata intitolata la “Commissione sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio”, voluta dall’allora presidente della camera Laura Boldrini e dalla quale risulta che le donne, in particolare, sembrano essere le prime vittime dell’odio online.
- L’odio di Genere è un tipo d’odio che è in crescita online. Il progetto italiano “Italian Hate Map” (nel 2018), ha analizzato 2.659.879 Tweet dove le donne sono state il gruppo più insultato, seguite da gay e lesbiche.
Moltissime donne che hanno blog o sono personaggi pubblici hanno sofferto esperienze negative online che non solo riguardano commenti offensivi ma anche stalking, troll, minacce di stupro, minacce di morte, spiacevoli incontri offline, intimidazioni, discredito, estrema ostilità nel contesto forma di sessismo digitale nelle chat room o nelle sezioni dei commenti.
Sempre nei crimini d’odio di genere compaiono quelli commessi nei confronti delle comunità Lgbt+. Emblematico è l’esempio dell’omicidio perpetrato in Slovacchia nell’ottobre del 2022 quando un 19enne spara davanti ad un bar frequentato da membri della comunità gay uccidendo due persone. È spaventoso che suoi social il killer avesse pubblicato post antisemiti ed omofobi ma, ancora più spaventoso, fu che a seguito di questa aggressione diversi tweet sono stati fatti in sostegno del ragazzo e contro la comunità Lgbt+.
Quando parliamo di odio online verso una singola persona, solitamente, l’ ”hate speech” non si limita ad attaccare un soggetto in quanto tale ma in quanto appartenente anche ad un gruppo. Ecco che la giornalista è attaccata perché giornalista e perché donna, il politico perché gay e perché appartenente ad una determinata area politica o il compagno di scuola viene deriso nella chat perché timido e perché magari non è italiano.
Tra i tipi di odio indirizzati ad una singola persona spicca Il Cyberbullismo. Questo fenomeno, che colpisce principalmente giovani e adolescenti, non è altro che l’evoluzione del classico bullismo ma che risulta amplificato nel mondo virtuale dall’eco mediatico dato da una platea di utenti ampia come può essere quella del web.
Una ragazza o un ragazzo che in classe, in palestra o comunque in un gruppo sociale chiuso, viene preso in giro per il suo modo di comportarsi o perché magari timido e impacciato, attraverso i social network subisce le stesse angherie che subisce nel gruppo ma, adesso, sono proiettate nel mondo virtuale e quindi ad un pubblico più ampio. Negli ultimi anni sono state migliaia le segnala di questo tipo di odio che ha portato, in alcuni casi, alla morte del soggetto bullizzato.
Chi sono gli odiatori online?
Al di là di gruppi nati per diffondere odio e disinformazione con specifiche finalità politiche o destabilizzanti chi sono i così detti haters o “leoni da tastiera”?
Sono principalmente persone che presentano una mancanza di empatia e spesso anche di cultura e conoscenza (Effetto Dunning-Kruger), che hanno difficoltà a relazionarsi con gli altri, a sostenere confronti e discussioni costruttive. Vivono la maggior parte della loro vita in una ristretta cerchia di amicizie e conoscenze creando così una echo-chamber per le loro idee. La possibilità di nascondersi dietro uno schermo dà a queste persone, subdole e vigliacche, la forza di esprimere l’odio e la frustrazione che si portano dentro. Sono persone che se incontrate nel mondo reale avrebbero tutt’altro comportamento ma nell’apparente anonimato del web danno sfogo a tutta la loro aggressività.
Spesso la disinformazione e l’odio online vanno di pari passo: forti dell’idea che “uno vale uno”, gli haters si sentono incoraggiati ad esprimere le loro idee senza la necessità di motivarle (la maggior parte delle volte non hanno una motivazione da dare) ma facendole valere con il puro odio che di manifesta nell’utilizzo di parole ed espressioni contro un gruppo sociale, religioso o contro una giornalista (la maggior parte dei giornalisti colpiti dall’odio in rete sono donne!) solo per il fatto di essere donna.
Secondo una ricerca del 2018 “Internet Trolling and Everyday Sadism: Parallel Effects on Pain Perception and Moral Judgment”, la personalità dei leoni da tastiera a tre componenti: il narcisismo, la psicopatia e il machiavellismo.
Il primo elemento si caratterizza per senso di importanza e superiorità, il bisogno di lusinghe e di riconoscimento nonché l’incapacità di accettare le critiche; la psicopatia, invece, riguarda l’impulsività, la scarsa empatia, nonché la mancanza di rimorso per le proprie azioni e la mancanza di compassione verso il soggetto del loro attacco. Infine, per machiavellismo, si considera una personalità manipolativa, fredda con scarso senso morale e tendente all’inganno.
Gli haters hanno anche una grande componente sadica: dalle loro azioni traggono piacere nel farle e un senso di potenza (che nella vita reale non hanno) dall’aver arrecato danno agli altri.
Come comportarsi e come proteggersi dagli haters online?
Ci sono vari modi di comportarsi difronte a situazioni di odio online e, a seconda della gravità e frequenza del fatto vanno prese in considerazione l’una piuttosto di un’altra.
- Ignorare e restare in silenzio: questo metodo è forse il più facile e spesso da buoni risultati in quanto, dopo poco, l’haters si stanca e cerca un altro soggetto su cui indirizzare le sue campagne d’odio.
- Rispondere con cortesia e precisione alla critica, usando un tono neutro. Questo metodo potrebbe sembrare facile ma, non sempre da dei buoni risultati e spesso si genera una discussione interminabile che dà forza al leone da tastiera che ci sta attaccando.
- Eliminare e bloccare la persona. Semplice, veloce e indolore quest’azione ci libera da tanta fatica e arrabbiature. Risulta forse la soluzione migliore da attuare.
- Segnalare, denunciare: questo metodo è da considerare solo in casi estremi e per fatti veramente gravi quali minacce, diffamazione o insulti tesi a ledere la dignità personale o anche nel caso di cyberbullismo.
Considerazioni
Ricorrendo a parole, immagini e suoni, l’hate speech può mirare sia a disumanizzare e sminuire i membri di un certo gruppo, ritraendoli come sgradevoli e sgraditi, sia a rafforzare il senso di adesione al proprio gruppo egemone (e in pericolo, ci stanno facendo scomparire, vogliono che pensiamo tutti in maniera uguale, ecc…). Tramite l’hate speech si possono spostare le idee da un piano puramente virtuale ad uno reale con conseguenze a volte drammatiche.
Quando di parla di hate speech è importante tener conto che non è facile tracciare una linea che separa l’odio d’espressione dalla libertà di espressione: non si tratta di distinguere tra bianco e nere ma tra sottili linee di grigio.
Per finire dobbiamo tener conto che bisogna impedire che le piattaforme social diventino gli unici regolatori della libertà d’espressione online, soppiantando il ruolo dell’autorità pubblica. Un esempio è quello accaduto il 9 settembre del 2019, quando Facebook ha chiuso gli account del partito italiano di estrema destra Casapound perché non allineati alla policy del sito contro l’incitamento all’odio. Con l’ordinanza n. 59264/2019 il tribunale civile di Roma ha accolto il ricorso di Casapound e ha ordinato a Facebook la riattivazione immediata del profilo, sostenendo che l’esclusione del movimento di estrema destra dal social implicasse l’esclusione anche dal dibattito politico di quest’ultimo. Infine nel dicembre 2022, una nuova sentenza del tribunale di Roma ha riconosciuto il diritto esercitato da Meta a chiudere le pagine di CasaPound Italia aperte su Facebook. Abbiamo quindi visto un rimbalzare di decisioni su quello che era da fare ed un conflitto tra la società che gestisce il servizio social e la Giustizia Italiana su chi avesse potere decisionale.
L’hate speech è un fenomeno dannoso e pericoloso sia per la singola persona che viene attaccata che per i gruppi religiosi/etnici/politici/di genere che possono subire discriminazioni, e verso i quali si può generare una campagna d’odio degna dei regimi totalitari degli anni ’30 del XX secolo. È quindi sempre più importante che vi sia un lavoro di sinergia tra social network e governi per gestire e legiferare in maniera corretta, riaffermando il potere decisionale delle autorità pubbliche rispetto a quello delle singole piattaforme che, spesso, prendono decisioni arbitrarie.
Altrettanto importante che si continui a fare campagne di sensibilizzazione nelle scuole e nei media, sia tradizionali che no, affinché sempre più persone siano sensibilizzare sul problema e imparino la differenza tra libertà di espressione e odio.
Bisogna, infine, ripensare alla rete internet come un nuovo spazio di democratizzazione digitale dove vengono rispettati e tutelati i diritti individuali come lo sono nella vita reale: la rete deve passare da vettore polarizzante di idee a strumento per la circolazione ed il consolidamento di conoscenza.
Bibiliografia:
“Contrastare l'illecito incitamento all'odio online: l'iniziativa della Commissione registra progressi costanti, con l'adesione di ulteriori piattaforme”, Gennaio 2018, Commissione Europea.
“Relazione finale della Commissione ‘Jo Cox’ sull'intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio”, Camera dei deputati
“Risoluzione del Parlamento europeo del 20 ottobre 2022 sull'aumento dei reati generati dall'odio contro persone LGBTIQ+ in Europa alla luce del recente omicidio omofobo in Slovacchia”, Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, 20 ottobre 2022.
Elsevier: “Internet, social media and online hate speech. Systematic review”, Sergio Andres Castano-Pulgarín, Natalia Suarez-Betancur, Luz Magnolia Tilano Vega, Harvey Mauricio Herrera Lopez, 2021
“Hate speech review in the context of online social networks”, Naganna Chetty , Sreejith Alathur, National Institute of Technology Karnataka, Surathkal, India, 2018.
“Internet Trolling and Everyday Sadism: Parallel Effects on Pain Perception and Moral Judgment”, Journal of Personality n.87, Aprile 2018, Erin E. Buckels, Paul D. Trapnell, Tamara Andjelovic, Delroy Paulhus (University of British Columbia)
Ultima consultazione Ottobre 2023