Tutti sappiamo, quasi sempre per sentito dire, che la rete internet è nata come progetto militare per garantire la comunicazione sempre e comunque (anche in caso di olocausto nucleare) tra i vari centri di comando. Questa consapevolezza è talmente radicata che siamo convinti che l’infrastruttura internet sia sempre disponibile (escluso i guasti che possono capitare sulla linea ma questo è un altro discorso).
Come stanno realmente le cose?
Internet non è il web.
Per prima cosa dobbiamo chiarire la differenza che c’è tra la rete internet ed il “web”.
La rete internet è un infrastruttura dove viaggiano pacchetti di dati tra vari nodi di computer che si scambiano informazioni tramite delle regole che si chiamano protocolli. I pacchetti dati che vengono scambiati dai vari computer tramite dei “nodi” vengono interpretati da vari programmi (whatsapp, programmi di videoconferenza, programmi FTP, newsgroup, posta elettronica, ecc.) presenti sui singoli dispositivi che provvedono ad interpretarli ed elaborarli. Internet è, insomma, una specie di ferrovia che offre il trasporto di informazioni che attraverso delle stazioni (i server) distribuisce queste informazioni alle singole case presenti in una “citta”, ovvero i singoli computer collegati.
Il web è, invece, solamente uno dei servizi internet che permette il trasferimento e la visualizzazione dei dati, sotto forma di ipertesto. La prima pagina web è stata realizzata da Tim Berners-Lee nel 1991 presso il CERN. Il web ha permesso di trasformare quello che viaggiava su internet da una serie di informazioni statiche ad un insieme di documenti correlati e facilmente consultabili.
Come nasce Internet.
In piena guerra fredda, nel 1958 la difesa degli Usa fondò ARPA, acronimo di Advanced Research Projects Agency e che oggi si chiama DARPA (D sta per Defence) con lo scopo di trovare soluzioni tecnologiche innovative ad un certo numero di problemi, principalmente militari. Tra i vari problemi che ARPA si trovò ad affrontare vi era quello creare un sistema di telecomunicazioni sicuro, pratico e robusto, in grado di garantire lo scambi di informazione tra i vari comandi e sistemi di risposta in caso di attacco nucleare sempre e comunque.
Lo scambio di dati tra i vari computer, fino ad allora, avveniva tramite un collegamento diretto tra i due, solitamente tramite linea telefonica. Questo tipo di scambio dati, oltre che essere poco sicuro, presentava delle debolezze intrinseche: la velocità era limitata e condizionata dal computer più lento e la connessione era limitata a due utenti che venivano collegati direttamente. Ad aumentare la criticità di questo modo di scambiare informazioni, inoltre, vi era il fatto che tutti i dati passavano da un nodo centrale, incaricato di questa operazione di switching, creando un punto critico in caso di guasto o di attacco.
La soluzione fu trovata “imbustando” i dati in una serie di pacchetti che, come in una busta postale, contengono l’indirizzo del mittente, del destinatario e l’informazione che si vuole trasmettere. In questo modo era possibile per più utenti utilizzare una stessa linea e, in caso di guasto o inoperatività di un nodo, le informazioni potevano essere deviate su di un’altra strada, dato che si sapeva “l’indirizzo” del destinatario. L’unico problema che esisteva (ma all’epoca non era considerato un problema visto il numero esiguo di computer presenti) era che bisognava, appunto, conoscere l’indirizzo del destinatario.
Il progetto prese ufficialmente vita nel 1958 quando Steve Crocker, Steve Carr e Jeff Rulifson, in un documento del 7 aprile presentarono l’idea di una rete che prese il nome di ARPANET. Inizialmente furono solo quattro i computer collegati ma in breve tempo il loro numero aumentò includendo non solo enti della difesa USA ma anche università e centri di ricerca.
Per facilitare lo scambio di dati tra computer differenti venne implementato un protocollo apposito il TCP/IP che è tutt’ora utilizzato. A seguire vennero inventate nel 1971 le e-mail, mentre l’anno seguente vide la nascita di un metodo per controllare i computer in remoto che prese il nome di telnet e per finire un protocollo per il trasferimento dei file che si chiama FTP. Tutti questi protocolli che sono tutt’ora esistenti e sono una parte fondamentale di quello che chiamiamo “Internet”.
Anche se negli anni i protocolli si sono evoluti, ne sono nati di nuovi e altri si sono modificati il principio di funzionamento rimane lo stesso degli anni ’60 e oggi sono milioni i computer e i dispositivi interconnessi in tutto il mondo.
C’è pericolo per l’infrastruttura mondiale?
Attualmente abbiamo un mondo sempre più interconnesso. Quando consultiamo un sito internet, mandiamo un messaggio tramite whatsapp o messenger, pubblichiamo una nostra foto su Facebook piuttosto che una storia su Instagram o facciamo un bonifico bancario utilizziamo uno dei tanti servizi che la rete internet ci mette a disposizione.
Spesso i server che utiliziamo sono situati in altri continenti o altre nazioni: le webfarm (luoghi dove sono collocati una serie di Server a temperatura controllata e in sicurezza) che contengono i siti internet non sempre sono in Italia o in Europa anche se il dominio che consultiamo è di tipo .it o .eu ed appartiene ad una società italiana.
A collegare questi server a casa nostra provvede una fitta rete di cavi ottici sottomarini (la mappa è consultabile sul sito www.submarinecablemap.com) che trasportano il 97% del traffico internet mondiale. Sicuramente, a questo punto della lettura, viene da chiedersi perché si preferisca utilizzare i cavi marini anziché i satelliti, come nel caso della costellazione Starlink di Eolon Musk?
Il primo motivo è il costo della tecnologia della fibra ottica che è molto più vantaggiosa della messa in orbita e del mantenimento di una rete di satelliti.
Dobbiamo poi considerare la velocità: satelliti per la trasmissione dati sono, per la maggior parte, situati in orbite geostazionarie il che vuol dire che orbitano su un punto fisso sopra la terra (come i satelliti GPS) ad un’altezza di circa 36.000 km. Ad una tale distanza un bit, che viaggia alla velocità della luce, per percorrere una simile distanza impiega ¼ di secondo e questo tempo di latenza nella comunicazione può, in certi casi, diventare critico.
Dobbiamo, infine, considerare che se tutte le comunicazioni della rete internet dovessero passare tramite satelliti probabilmente questi ultimi avrebbero difficoltà a gestire una mole di traffico eccessiva: un conto è dover gestire 10.000/30.000 utenti collegati contemporaneamente un altro doverne gestire 1.000.000.
Queste autostrade digitali prendono il nome di dorsali, e una delle più importanti passa al largo delle coste irlandesi dove transitano oltre 10 trilioni di dollari al giorno di transazioni finanziarie.
Non stupisce che, dopo il sabotaggio del gasdotto Nord Stream, stia nascendo la preoccupazione di un possibile attentato ai cavi sottomarini da parte dei Governi Europei e della Nato: gli alti funzionari della Marina degli Stati Uniti hanno avvertito per molti anni delle conseguenze catastrofiche di un possibile attacco da parte delle navi russe su cavi Internet.
In realtà, a parte un eventuale aumentare della tensione geopolitica, un reale pericolo non esiste, o meglio, le conseguenze non sarebbero così gravi come certi giornali annunciano: già adesso, ogni giorno, si verificano guasti lungo i cavi ma gli utenti non se ne accorgono.
Abbiamo visto all’inizio che la struttura internet è nata con lo scopo di evitare che un conflitto impedisca la possibilità di scambiare informazioni tra i vari posti di comando. Se un cavo viene tagliato, o anche la maggior parte dei cavi di una dorsale, semplicemente i pacchetti dati verrebbero reindirizzati tramite un’altra strada per raggiungere il destinatario a scapito, ovviamente, della velocità di interscambio dei dati. E se anche un eventuale stato belligerante riuscisse a tagliare tutti i cavi Atlantici si potrebbe sempre reindirizzare il traffico sulla dorsale dell’Oceano Pacifico o via satellite, anche se in quest’ultimo caso bisognerebbe dare la precedenza ai servizi di primaria importanza e si avrebbe un rallentamento generale.
In questo periodo di guerra i propagandisti russi (come Viktor Murakhovsky) hanno dichiarato che la Russia potrebbe danneggiare seriamente le comunicazioni in Europa e ciò avverrebbe tramite l’utilizzo di sottomarini speciali come il Belgorod ma, come abbiamo visto, tutto questo rimane accantonato nella pura propaganda di guerra.