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By Filippo Brunelli


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Passato presente e futuro dei social network
Passato presente e futuro dei social network

Pochi lo sanno ma il primo social network della storia è stato un sito del 1997 chiamato SixDegrees.com, che aveva come scopo quello di creare una rete di relazione tra le persone che avessero gli stessi interessi.
Naturalmente all'epoca non esisteva ancora il termine "social network", che fu coniato solamente nel 2002 con la nascita dell'australiano friendster, un sito con lo scopo di aiutare le persone a trovare nuovi amici, rimanere in contatto, condividere contenuti e media online, darsi degli appuntamenti e scoprire nuovi eventi, band musicali. Gli utenti potevano anche condividere foto, messaggi e commentare i contenuti condivisi dei loro contatti. Il sito chiuse nel 2015.
Questo è l'inizio, nel mentre sono nati molti altri social tra i più famosi ricordiamo Facebook, Twitter, Vk, Instagram che attualmente risultano tra i siti più visitati al mondo (fonte Alexa.com).

Tra tutti i social network Facebook è sicuramente il più conosciuto ed il più nominato, insieme a twitter e instagram, ma come funzionano i social network?
Per prima cosa dobbiamo chiarire che il valore reale di un social network è nel numero di utenti attivi che questo mezzo riesce a veicolare giornalmente: ogni utente che è attivo crea un' interazione, pubblica un post, mette un "LIKE", condivide un contenuto; tutte queste azioni spesso vengono usate per identificare i gusti o le abitudini ed inviare una pubblicità mirata all'utente stesso. Questi dati vengono poi "venduti" ad altre società che a loro volta inviano pubblicità mirate. Allo stesso modo il social network riceve i dati di navigazione o ricerca dell'utente da altri siti e invia a quest'ultimo, nel momento dell'accesso o durante la navigazione, pubblicità mirata.
Il fatto che un social network abbia milioni di iscritti, quindi, non vuol dire che sia un social network che vale se questi iscritti non interagiscono quotidianamente tra di loro o sono account creati ad hoc per pubblicizzare un prodotto, influenzare un quesito referendario o un evento elettivo, come sembra sia avvenuto nel caso delle ultime elezioni americane o del referendum del regno unito sulla Brexit.
In base a questo Twitter si è scoperto ad avere migliaia di account fasulli che sono stati rimossi.
Attualmente il mercato dei social network è diviso in diverse tipologie e può capitare che un utente sia iscritto a più social network a seconda delle interazioni che vuole avere.
Prendiamo ad esempio Facebook e Twitter: il primo ha un rapporto 1 a 1, ovvero ogni utente è collegato con un altro utente in un rapporto di reciprocità, dove l'utente A per poter seguire l'utente B deve fare richiesta di amicizia e se accettata non solo l'utente A segue l'utente B ma al contempo l'utente B inizierà a seguire l'utente A; Twitter, invece, lavora in maniera differente: se l'utente A decide di seguire l'utente B è sufficiente premere il tasto FLOW e automaticamente verrà aggiornato su ogni tweet che l'utente B posta, senza la necessità che l'utente B a sua volta venda aggiornato sui post dell'utente A.
Quindi non è strano che un utente sia iscritto sia a Twitter che a Facebook, che sono due social network diversi perchè le interazioni che genera sono di tipo differente con risultati differenti.
Una caratteristica che invece accomuna tutti i social network è la mancanza di un evoluzione di stile: malgrado siano passati parecchi anni dalla loro entrata nel mercato se prendiamo ad esempio Facebook o Twitter notiamo che negli anni non hanno mai rivoluzionato la loro impaginazione grafica e presentano il profilo degli utenti tutto uguale, consentendo agli utenti finali solo piccole personalizzazioni.
Anche se questo può sembrare una limitazione è uno dei tanti motivi che ha permesso a Facebook di affermarsi in una posizione di prestigio nel mondo dei social network: all'epoca dell'entrata di Facebook nel mondo del web era presente un altro grande social network Myspace che dominava la scena e che sembrava destinato ad un futuro radioso. A differenza di Facebook, però, Myspace dava la possibilità agli utenti di personalizzare la loro pagina con inserimento di Tags HTML. L'idea era buona, in quanto ogni persona poteva liberamente crearsi veramente il proprio spazio senza tante difficoltà ( da qua il nome MYSPACE), sennonché molti utenti, spesso inesperti, iniziarono ad inserire contenuti che appesantivano la pagina e creavano un grande carico di dati in download a chi vi accedeva ed un enorme lavoro alla cpu del computer. In questo modo, piano piano, sempre più utenti abbandonarono Myspace in favore di social più snelli.

Nel rapporto trimestrale presentato a luglio 2018 dopo gli scandali di Cambridge Analytics, Facebook ha evidenziato un calo nella crescita degli utenti ed una leggera flessione di utenti attivi in Europa, mentre negli Stati Uniti e in Canada, pur rimanendo inalterato il numero di utenti si rileva un rallentamento della crescita degli utenti.
Che il mercato sia saturo? No, certo che no!
Un grande impatto sul calo della crescita è sicuramente dovuto all'utilizzo da parte del colosso di Menlo Park delle norme europee sulla privacy volute dalla UE dopo lo scandalo di Cambridge Analytics ed il giro di vite sulle fake news e i falsi profili. Ma non è tutto: sempre più giovani,di età compresa tra i 13 ed i 17 anni, lasciano Facebook in favore di altri social, mentre altri utenti iniziano a riconsiderare il fatto che postare foto o eventi troppo personali possono avere una ricaduta nel mondo reale.
Per quel che riguarda i giovani, sicuramente la voglia di avere uno spazio virtuale dove i genitori non possono raggiungerli è importante in quanto se un genitore ha l'amicizia con il figlio/a su Facebook sicuramente potrà vedere tutto quello che questi condivide lui o i post degli amici nei quali è taggato.
Per altre persone, invece, diventa complicato poter conciliare la vita privata online con la vita pubblica, in quanto condividere l'amicizia su di un social anche con i colleghi di lavoro o con il proprio capo vuol dire perdere una parte della propria privacy, mentre il non farlo potrebbe sembrare un atto di "maleducazione", quindi meglio non avere un account o averlo ed utilizzarlo con moderazione.
Un social network che ha cercato di superare questo problema è stato Google+ che tramite l'utilizzo di "cerchie" permette di scegliere cosa condividere e con chi ma, essendo entrato tardi nel mondo dei social e con un layout non semplicissimo, non è mai riuscito ad imporsi ai livelli di Facebook o Twitter.
Un altro motivo che porterà sempre più utenti ad abbandonare i social network classici in favore di soluzioni alternative è l'uso intensivo che ne viene fatto da parte delle aziende che li utilizzano come strumento pubblicitario.
Sebbene nessuno possa mettere in discussione il ruolo che i social network hanno avuto negli avvenimenti politici internazionali degli ultimi 10 anni partendo da piazza Maidan a Kiev( dove sono stati un ottimo strumento per l'organizzazione e l'aggregazione delle persone per protestare) fino alle Primavere Arabe (dove rappresentavano a volte l'unico mezzo per poter avere notizie), nell'ultimo periodo si è notato sempre più un uso aggressivo da parte delle società di marketing e dei cosiddetti influencer , per la promozione di prodotti e servizi.
Gli utenti fanno sempre più fatica a distinguere un post pubblicitario/promozionale da uno normale, soprattutto su Instagram e twitter dove il rapporto è 1 a molti ed il messaggio è raggiunto da un gran numero di persone. Per questo motivo l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha raccomandato a VIP ed influencer l'uso dei cosiddetti "hashtag della trasparenza" (#adv e #ad).
Molto di più ha fatto la Federal Trade Commission americana che richiede (un obbligo quindi e non una raccomandazione) che all'inizio di ogni post sponsorizzato, che sia video, foto o testo, sia specificato l'hashtag #ad o #sponsored; dopo questo richiesta, negli Stati Uniti, Instagram è risultato essere il luogo ideale per i post a sfondo pubblicitario con ben il 50%, seguito da Twitter e Facebook.

Ma quali possibili futuri saranno quelli dei social network?
Diciamo subito che difficilmente si possono fare predizioni a riguardo, ma solo ipotesi.
Ipotizziamo quindi la nascita di social network che saranno a pagamento e offriranno più servizi e meno pubblicità.
Visto che stanno sempre più diventando la nostra identità digitale ed il diario delle nostre vite è facile immaginare la nascita di social network che raccoglieranno i nostri ricordi per sempre, come servizio aggiuntivo a pagamento.
Quindi, un possibile scenario è la creazione di social network di serie A e di serie B come è successo già per i siti di dating online.
Ci sarà un probabile "raggruppamento sociale" sul modello di quello di Google plus in modo da non avere una condivisione totale con tutti i nostri contatti ma mirata e selettiva a protezione della nostra privacy.
I social network del futuro saranno più snelli di quelli di adesso che cambiano lentamente e daranno più spazio alle sperimentazioni. Probabilmente ci sarà interscambio di dati degli account tra i diversi social, pur aumentando l'attenzione alla privacy degli utenti.
Graficamente saranno sempre più mobile-native e meno web-native fino a diventare applicazioni sviluppate prevalentemente per smartphone (come nel caso di Instagram).
Per finire ci saranno sempre meno contenuti testuali e sempre più immagini e tanti, tanti, video.

Concludendo possiamo dire che l'uomo è un animale sociale e come tale cerca sempre il contatto con i suoi pari, ma, qualunque sarà l'evoluzione dei social network, è importante ricordare che nessuna tecnologia può sostituire la sensazione che si prova quando qualcuno sente che stai parlando solo con lui.

Si fa presto a dire APP
Si fa presto a dire APP
All’inizio c’erano solo i programmi. Poi Jobs disse: “Sia app” ed app fu…
Iniziamo dicendo che fino all’avvento dei primi Iphone il concetto di app era strettamente legato a quello di programma: una app non era altro che un programma con un interfaccia grafica. Ecco, quindi, che Word, o Internet Explorer, Excell, ecc. sono applicazioni che vengono abbreviate in App, mentre in passato venivano comunemente chiamati programmi.
Con i primi smartphone nasce l’idea di creare “programmi” che si possano scaricare solo previa registrazione da un portale, li si possa installare solo tramite internet,  ai quali viene dato il nome di App. Certo non bisogna pensare che il concetto di appstore sia necessariamente legato agli smartphone o che sia nato con essi: già Firefox (il noto browser) alle sue origini disponeva di uno store dal quale scaricare dei plugin per aggiungerne funzionalità.
Ma allora qual è la differenza tra un programma ed una app?
Iniziamo subito con il dire che mentre tutte le app sono programmi non necessariamente un programma deve essere una app: ci sono sempre dei programmi in esecuzione sullo sfondo di un sistema operativo, ma poiché non sono stati sviluppati per l'utente finale, non sono applicazioni (al massimo possono venir chiamati “task”). L’app, invece, è un programma rivolto all'utente per eseguire una particolare attività o una serie di attività come ad esempio un videogioco, un editor di testo, o l’elaborazione delle foto.
Quindi tutto quello che trovo su un appstore è in realtà un programma con un interfaccia grafica?
Non sempre!
Esistono, attualmente, tre differenti tipi di app:
App native
App Ibride
Web App

Le app native sono apps sviluppate specificatamente per un determinato sistema tramite un linguaggio di programmazione specifico (Objective-C o Swift per I/OS, Java per Android, e .Net per windows). Questo vuol dire che una app sviluppata per I/os può girare solo su quel sistema, se voglio farla giare anche su Android devo farne una nuova. 
Il vantaggio principale delle app native è che offrono elevate prestazioni e garantiscono una buona esperienza di utilizzo per l’utente in quanto gli sviluppatori utilizzano l'interfaccia nativa del dispositivo, oltre ad offrire un accesso a un'ampia gamma di API e quindi più possibilità per l’app.
Il lato negativo è che obbliga lo sviluppatore ( o la società che lo sviluppa) a creare due o più versioni di una medesima app per non rimanere esclusi da una fetta di mercato.

Le app ibride sono invece sviluppate usando un mix di diverse tecnologie quali HTML5, Java script ( e relativi frameworks come angular, jquery, ecc.), CSS, ecc. .  Sono praticamente una versione del sito web “travestito” da applicazione. Questo tipo di apps offrono una buona velocità, sono facili da sviluppare e non hanno la limitazione di dover creare diverse versioni per ogni sistema. Anche questo tipo di app offre diverse API da utilizzare come il giroscopio, l’utilizzo della posizione, della telecamera, ecc.
Naturalmente le apps ibride non hanno la velocità di una app nativa e possono creare problemi di visualizzazione su alcuni dispositivi (non è semplice creare un interfaccia che sia ottimizzata per tutte le risoluzioni esistenti!) per cui non sempre apparirà uguale ad esempio su un Iphone 5 o su un Asus Zen Phone.

Le web app, per finire, si possono definire come le versioni “responsitive” di un sito web.
Le app Web utilizzano un browser per l'esecuzione e sono generalmente scritte in HTML5, JavaScript o CSS e quando si installa questo tipo di app semplicemente si crea un segnalibro ad una pagina web.
Di norma, le applicazioni Web richiedono un minimo di memoria del dispositivo, tutti i database personali vengono salvati su un server remoto e gli utenti possono ottenere l'accesso da qualsiasi dispositivo ogni volta che è disponibile una connessione Internet.
Lo svantaggio principale per questo tipo di app è che una connessione scarsa comporterebbe un'esperienza utente negativa oltre che l'accesso a molte API per gli sviluppatori è limitata.

Quindi quando sento parlare di app è importante capire che tipo di app sto per installare, anche perché posso evitare esperienze negative nell’utilizzo del mio dispositivo, o un uso eccessivo dei dati, piuttosto che un uso illecito dei miei dati personali.
Detto ciò faccio notare che circa l’83% delle app usate dagli utenti sono app ibride.
Mysql o Sql Server?
Mysql o Sql Server?
Un database è un file che memorizza un insieme di dati. Vi sono nel mondo dell’informatica vari tipi di database ma i più usati sono di tipo “relazionale”, un particolare tipo di database in cui i diversi file separati vengono messi in relazione attraverso dei campi chiave e che per questo motivo vengono chiamati così.
 Nel mondo del web sono due i database più usati dei providers: MySql e SQLServer ed anche in questo settore il mondo degli sviluppatori è diviso tra diverse idee su quale sia il migliore.
Come nell’articolo precedente (Php o Net? Facciamo Chiarezza) vediamo di fare chiarezza tralasciando quelli che sono gli aspetti ideologici nell’affrontare la discussione e concentrandoci invece sugli aspetti pratici ed oggettivi.

Iniziamo subito col dire che SQL Server è leggermente più vecchio di MySQL: Microsoft SQL Server è stato introdotto nel 1989 mentre MySQL è stato introdotto nel 1995 come progetto open-source. Dal momento che entrambi sono in produzione da anni, entrambi hanno una solida posizione sul mercato, entrambi possono girare sia su piattaforme windows che Linux ( Si, avete letto bene Sql Server gira anche su linux: Link per le istruzioni), entrambe le piattaforme sono progettate per gestire progetti grandi e piccoli ad elevate prestazioni, ed hanno molti punti in comune che sono:

Scalabilità: entrambe le piattaforme consentono di scalare man mano che il progetto cresce. È possibile utilizzare entrambi per progetti di piccole dimensioni, tuttavia, se questi progetti crescono, sia Mysql che Sql Server offrono la possibilità di supportare milioni di transazioni al giorno.
Tabelle: entrambe le piattaforme utilizzano il modello di tabella del database relazionale standard per archiviare i dati in righe e colonne.
Chiavi: entrambe le piattaforme utilizzano chiavi primarie e esterne per stabilire relazioni tra tabelle.
Sintassi: la sintassi tra le due piattaforme di database è simile, sebbene vi siano alcune differenze minori tra le diverse istruzioni
Popolarità: entrambe le soluzioni sono molto popolari sul web.

Mentre le due piattaforme sono simili nell'interfaccia e nello standard di base dei database relazionali, sono due programmi molto diversi e che operano in modo diverso. La maggior parte delle differenze riguarda il modo in cui il lavoro viene svolto in background e non risulta visibile all’utente medio.

Natività: abbiamo detto che entrambe le soluzioni possono essere installate sia su piattaforme windows che linux, va però considerato che Mysql funziona meglio sotto linux se usato con Php, mentre Sql Server da il suo massimo su piattaforma Windows interfacciato con .Net.
Costo: Sql Server è generalmente costoso poiché necessita di licenze per il server che esegue il software, mentre MySQL è gratuito e open-source, ma si dovrà pagare per il supporto se se ne necessita e non si è in grado di risolvere il problema da soli.
Query Cancellation: una differenza importante tra MySQL e Sql Server è che MySQL non permette di cancellare una query a metà della sua esecuzione. Ciò significa che una volta che un comando inizia l'esecuzione su MySql, è meglio sperare che qualsiasi danno che potrebbe fare sia reversibile. SQL Server, invece, permette di annullare l'esecuzione della query a metà strada nel processo. 
Sicurezza: sebbene entrambi sono conformi all'EC2 Microsoft ha dotato Sql Server di funzionalità di sicurezza proprietarie all'avanguardia come  Microsoft Baseline Security Analyzer che  garantisce una solida sicurezza per SQL Server. Quindi, se la sicurezza è una delle maggiori priorità l’ago della bilancia pende decisamente verso Sql Server.
Supporto comunitario: su questo piano direi decisamente che Mysql (che è più usato al momento) essendo open source ha a disposizione una grande e varia comunità di utenti molto attivi.
Velocià: sebbene molti (soprattutto per motivi ideologici) affermino che Mysql sia più veloce dai benchmark si evince che Sql Server è nettamente più veloce di Mysql ( www.ijarcce.com/~IJARCCE%2039.pdf, www.dbgroup.unimo.it/~/tesi.pdf)
Api e altri metodi di accesso ai dati: In questo caso vediamo che Sql Server ha a disposizione più metodi di accesso da scegliere tra OLE DB, TDS (Tabular Data Stream), ADO.NET, JDBC, ODBC, mentre MySql si deve limitare a ADO.NET, JDBC, ODBC 
Linguaggi di programmazione supportati: in questo campo decisamente Mysql è avvantaggiato (18 linguaggi supportati), mentre Sql Server affianca al classico .net, Runy, Phyton, Php Go, Dephy, C++, R e Java script (tramite Node.js).
Viste indicizzate: MYSQL offre solo viste aggiornabili, Sql Server,invece, offre anche le viste indicizzate che sono molto più potenti e con un rendimento migliore (per chi volesse sapere cosa sono le viste indicizzate rimando al tecnet di microsoft).
Funzioni personalizzate: Sql Server permette all’utente di definire le proprie funzioni, mentre in Mysql questa possibilità non è presente.

Dopo aver analizzato da un punto di vista tecnico le differenze tra i due vorrei chiudere la comparazione tra i due correggendo alcune affermazioni che ho trovato su internet che dicono che Google, Facebook, Youtube ed i principali siti web usano Mysql. In realtà Google e Youtube usano BigTable, un database sviluppato in proprio, Facebook usa due diversi database Hive e Cassandra, MySpace usa Sql Server, Twitter usa MySQL, FlockDB, Memcached (in una versione sviluppata in proprio chiamata Twemcache), mentre altri siti web che usano  Mysql tendono sempre di più ad affiancarlo o a migrare ad altri database come ad esempio MariaDB, un fork di Mysql creato dal programmatore originale dello stesso, che supera alcune delle limitazioni del database originale.

Concludendo diciamo nuovamente che non si tratta di quale tra MySQL o Sql Server sia migliore, ma quale tra i due è il più adatto per il nostro progetto, quale si adatta meglio al server che lo ospiterà, che livello di sicurezza e performance voglio in rapporto al budget che ho a disposizione, ma soprattutto quale è lo sviluppo futuro che prevedo, ricordando che ogni buon progetto inizia con una buona pianificazione iniziale: il passaggio da un database ad un altro non sempre è indolore ed il costo può risultare elevato.

Php o .Net? Facciamo Chiarezza
Php o .Net? Facciamo Chiarezza
In più di un occasione negli ultimi anni mi sono dovuto confrontare sulla discussione se sia meglio usare PHP o .Net per il web. 
Su internet si leggono moltissime critiche e moltissimi luoghi comuni (che sono per la maggior parte sbagliati) verso la tecnologia .NET dovuti soprattutto a prese di posizione ideologiche o ad ignoranza.
Per prima cosa bisogna fare chiarezza e spiegare (anche a chi si reputa un esperto) che per fare un confronto tra due elementi bisogna che siano simili, ma confrontare PHP e .NET è come confrontare le mele con le pere.
Chi pensa a .NET per il web pensa ad un linguaggio di script simile al suo predecessore ASP ma questo non è vero: Asp.NET non è un linguaggio di programmazione ma una tecnologia basta sul .NET Framework della Microsoft. Questo significa che applicazioni e siti web che utilizzano tecnologia .NET possono essere scritti in linguaggi differenti (Visual Basic .NET , C# , J#, e molti altri) e compilati!
Php è, invece, linguaggio script dove bastano poche righe in un file di testo ed avremo creato una routine e realizzato un "programma".

Chiarita questa differenza che ci spiega perché non è possibile un confronto esatto tra le due metodologie di sviluppo possiamo adesso sfatare i luoghi comuni.

Costi.
Una delle prime cose che un appassionato di PHP fa notare è che PHP è gratis mentre .NET è a pagamento. Nulla di più sbagliato!
Microsoft ha messo a disposizione prima visual studio express edition e poi la sua evoluzione visual studio 2017 che nella versione Comunity è, come il suo predecessore, completamente gratuito (per l'istallazione offline di visual studio 2017 vedere https://www.filoweb.it/tutorial/6-Installazione-offline-di-Visual-Studio-2017 ).Visual Studio 2017, inoltre, tramite una singola IDE fornisce la possibilità di sviluppare sia applicazioni web che per device mobili che per desktop.
È vero che .NET lavora su server windows, mentre PHP può lavorare tranquillamente su server linux ma, se si guardano i prezzi, la differenza tra un hosting windows o uno linux non è più così elevata, tanto che a volte un hosting windows costa meno di uno linux.

I maggiori siti web usano PHP.
I sostenitori di PHP si fanno forza nell'affermare che i maggiori siti web (Google, Facebook, Youtube, Amazon, ecc.) sono fatti in PHP.
Se non completamente una bufala questa è un'imprecisione: abbiamo detto che PHP è solamente un linguaggio di script, vi sembra quindi possibile che un sito come google, che è il più visitato al mondo (fonte alexa) possa limitarsi solamente ad un linguaggio di script per l'elaborazione? Certo che no! Al massimo usano una versione di PHP pre-compilato tramite una virtual machine JIT (HHVM).
Ed infatti Google, come linguaggio di programmazione, usa un mix di C, C++, Go, Java, Python e PHP (HHVM). Così come anche Facebook (Hack, PHP (HHVM), Python, C++, Java, Erlang, D, XHP, Haskell) e Youtube (C, C++, Python, Java, Go), mentre Amazon preferisce stare sul classico utilizzando Java, C++, Perl. 
Quindi è vero che usano PHP che, però, non è l'unico linguaggio utilizzato.
Per quanto riguarda soluzioni enterprise vediamo poi che le maggiori aziende nel settore usano tecnologia .NET per integrare i loro servizi come nel caso di Office 360, Visual studio, Salesforce.com, Washingtonpost (Php e .NET), GoDaddy, e molti altri.

PHP è più usato
Questo è vero. Secondo un indagine del 2017 il 57% dei siti web usano PHP contro solamente il 34% di quelli che usano .NET. 
I motivi di questa differenza sono molti, prima di tutto la difficoltà di .NET quando si inizia e la convinzione che per usare .NET siano necessari notevoli investimenti.

PHP è più simile al C++ o al Java
Abbiamo detto che .NET usa diversi linguaggi per interagire con il frameworks proprietario tra i quali c# (che è il linguaggio più usato per .NET).
C#, pur profondamente diverso da c++ risulta molto più simile a quest'ultimo di quanto lo potrà mai essere PHP.
Ricordiamo in questa sede, per esempio, che la sintassi di base del C# è spesso molto simile o identica a quella dei linguaggi C, C++ e Java, come C++ è un linguaggio orientato ad oggetti e le specifiche sono di regola raggruppate in metodi (funzioni), i metodi sono raggruppati in classi, e le classi sono raggruppate nei namespace.

PHP è open source e compatibile con diversi sistemi operativi
Ecco un altro luogo comune che deve essere sfatato. Dal 2015 esiste il progetto MONO, ovvero un progetto per creare una serie di strumenti compatibili con il frameworks .NET che comprendono un compilatore C# e il CLR (la macchina virtuale e le librerie standard .NET).
Mono è inoltre compatibile con Linux, MacOS, Sun Solaris, BSD, Windows e molti altri sistemi operativi.

Il Codice PHP può essere editato con un normale editor di testo .NET no.
Sebbene usare .NET senza Visual studio sia difficile questo non vuol dire che sia impossibile. Per editare codici .NET si possono usare molti editor di testo: oltre a visual studio, microsoft, mette a disposizione Visual Studio Code (ad esempio) oppure posso sempre usare il buon vecchio Notepad++

PHP è più scalabile di .NET
Questo non è assolutamente vero: sia PHP che .NET hanno una grande scalabilità, al massimo è la capacità di un programmatore a decretare la più o meno scalabilità di un progetto.
Chi usa principalmente PHP trova più facilmente da "scopiazzare" codici o parti di codici, ma questo non vuol dire essere in grado di programmare un sito web moderno.

PHP è più semplice e facile da imparare
Questo sarebbe vero se .NET fosse un linguaggio di programmazione ma, come abbiamo più volte ripetuto, non lo è. Si può quindi scegliere tra diversi linguaggi a seconda delle proprie capacità e, sicuramente, usare VB.NET è molto più semplice di PHP.
D'altronde la semplicità non è sinonimo di buone performance o qualità di un linguaggio: il LOGO è un linguaggio semplicissimo (si usa per insegnare a programmare ai bambini delle elementari), ma nessuno si sognerebbe mai di fare un programma gestionale in logo oggigiorno!

 
Questi sono solamente alcuni dei luoghi comuni che vengono proposti da chi discute se sia meglio PHP o .NET. Noi ribadiamo invece che un confronto tra i due non è assolutamente possibile trattandosi di tecnologie estremamente diverse.
Quasi tutte le ritrosie ad usare una tecnologia come .NET da parte di chi sviluppa siti web sono dovute a falsi luoghi comuni o prese di posizione ideologiche e soggettive ( la più comune è che si tratta di un prodotto microsoft), ma poco su punti di vista oggettivi.
Certo potrebbe sembrare assurdo usare una tecnologia potente come quella di .NET per sviluppare un sito web del piccolo negozio di frutta e verdura sotto casa, ma per progetti più complessi non è una soluzione da sottovalutare e, visto che è ottimale per soluzioni enterprise, può tranquillamente essere ottima anche per piccole e medie aziende come agenzie immobiliari, studi professionali, liberi professionisti e tutti coloro che necessitano di qualcosa di più di un semplice sito web.
Quindi la vera domanda non è se PHP sia migliore di .NET o vice versa ma, bensì, quale tecnologia è più adatta alle mie necessità attuali e future?


NOTE FINALI: Lista di alcuni siti web che usano la tecnologia .NET: StackOverflow, Stackexchange.com, Bing.com, Microsoft, office.com, W3Schools, codeproject.com, Dell, University of Essex (ww.essex.ac.uk), Visual Studio, Cannon, Brother, Marketwatch, Washingtonpost.com, GoDaddy, diply.com (1 miliardo di visualizzazioni video mensili, tra i primi 10 lifestyle su comscore), Salesforce.com (una delle società più valutate di cloud computing statunitense), Careercruising.com ( +5 milioni di utenti, 15,784 posizionamento globale dati Alexa) , Nasdaq.com, Remax.com, Epson.com, Hp.com (.Net, Php, Java), Mazda.it, ilsole24ore.com (.net, Php, Java), usatoday.com
Accettare le regole del gioco
Accettare le regole del gioco
Premessa: i social network sono ormai entrati di prepotenza nella nostra vita e non possiamo più farne a meno, ma cosa sono i social network? Semplice sono una serie di servizi (solitamente offerti tramite la rete internet) che consente la comunicazione e la condivisione dei contenuti personali con gli altri.
Tramite i social network possiamo “rimanere in contatto” con i nostri amici o parenti che non vediamo da molto senza dover spostarci dalla nostra scrivania, possiamo far sapere a tutti quanto ci piace andare a mangiare messicano o quanto non ci sia piaciuto un film, oppure possiamo condividere le foto delle nostre ultime vacanze per far invidia al nostro collega antipatico.
Tutto questo è possibile con una semplice azione del nostro smartphone o pc garantendoci una certa dose di anonimato.  Si perché anche se la foto in copertina sulla pagina del social è la mia e i dati del profilo sono i miei, non sono realmente “faccia a faccia” con i miei interlocutori, tutto passa attraverso una tastiera ed un monitor (o display). Mi sento quindi più libero nell’esprimere le mie idee o le mie preferenze, tanto i miei interlocutori, se ce ne sono, posso zittirli con una semplice azione che ne elimina il commento.
E così, mentre cresce la mia autostima creata in un mondo virtuale con pochi post ho già fatto sapere, senza rendermene conto, quelle che sono non solo le mie preferenze ma anche le mie inclinazioni e spesso anche dove vivo.

Il recente scandalo di Facebook con Cambridge Analytica ha scosso l’opinione pubblica sulla sicurezza dei dati che condividiamo online e su quanto i social network possano influenzare la nostra vita.
Non parleremo in questo contesto dello scandalo di Facebook e di come Cambridge Analytica tramite l’app “thisisyourdigitallife” abbia carpito di dati dei profili di milioni di utenti nel mondo, ma cercherò di creare una consapevolezza di quello che è un uso corretto dei social network.

Una delle prime cose che dobbiamo tenere a mente è che nulla di quello che mettiamo in rete andrà mai veramente perso, possiamo eliminare il nostro profilo, con tutte le foto e i post, ma chi mi assicura che nessuno dei miei contatti abbai salvato o condiviso con altri ciò che ho scritto o pubblicato?
Inoltre i dati che pubblico, anche se cancello il mio profilo, potrebbero rimanere nei server dell’azienda che mi offre il servizio, o addirittura (come succede con molti social network) non permettere di cancellare il profilo ma solamente di “sospenderlo”. Prestiamo quindi sempre molta attenzione ai termini che accettiamo quando ci iscriviamo ad un social network dato che, spesso, la maggior parte dei social network così come i loro server hanno sede all’estero, e in caso di disputa legale o di problemi riguardo la privacy, non sempre si può essere tutelati dalle leggi italiane ed europee.

Anche se un social network mi può dare l’impressione di appartenere ad una piccola comunità questo non è assolutamente vero. Nel 1929 lo scrittore ungherese Frigyes Karinthy ipotizzò la "teoria dei sei gradi di separazione" secondo la quale ognuno di noi può essere collegato a qualunque altra persona al mondo attraverso una catena di conoscenze non più ampia di cinque individui; nel 2011 un esperimento di un  gruppo di informatici dell'Università degli studi di Milano, in collaborazione con due informatici di Facebook, effettuò un esperimento su scala planetaria per calcolare il grado di separazione tra tutte le coppie di individui su Facebook. In media i gradi di separazione riscontrati furono 4,74. Vediamo quindi che quello che consideriamo il nostro piccolo mondo virtuale in realtà non è così piccolo.

Come ultimo spunto di riflessione vorrei concentrare l’attenzione del lettore su quanto valgono i miei dati: i social network, che sembrano gratuiti sono in realtà molto simili ai canali televisivi commerciali.
Facebook, linkedIn, e tutti gli altri social network sono profumatamente pagati dalle informazioni personali su gusti, abitudini di vita e interessi degli utenti che vengono vendute ad aziende di pubblicità, aziende di marketing, ecc. che poi usano queste stesse informazioni per promuovere prodotti o servizi per i loro clienti che vengono quindi ricaricati sull’utente finale tramite il prodotto venduto, proprio come nelle pubblicità sulle televisioni commerciali. Tutto questo è lecito perché nel momento in cui accetto i termini della privacy e sull’uso dei dati personali (spesso condizione obbligatoria per l’iscrizione) autorizzo la circolazione di ciò che scrivo o pubblico.

Queste considerazioni non devono spaventare chi utilizza solitamente un social network che rimane, se usato con intelligenza, un potente strumento non solo per rimanere in contatto con persone che diversamente non avremmo modo di contattare, ma anche come canale alternativo di promozione per una qualsiasi attività commerciale.
Sarà sufficiente ricordarsi sempre che la forma di tutela più efficace è (e sempre sarà) l’autotutela, cioè la gestione attenta dei propri dati personali e dei propri post perché “se voglio mettermi in gioco devo accettare le regole del gioco”.

Qualcosa non ha funzionato
Qualcosa non ha funzionato
Alla fine degli anni ’90 era pensiero comune tra i nerd ed i programmatori che se si fosse dato a tutti la a possibilità di esprimersi liberamente e scambiarsi idee e informazioni, il mondo sarebbe diventato automaticamente un posto migliore. Ci sbagliavamo!

A febbraio la morte di John Perry Barlow, paroliere dei Grateful Dead, pioniere di Internet e tra i co-fondatori della Electronic Fontier Foundation ci porta a riflettere su quanto le idee espresse nella Dichiarazione di indipendenza del Cyberspazio, di cui è stato l’autore, siano state forviate ed abusate dalle stesse persone che voleva rappresentare.

Uno dei punti principali della dichiarazione recita: “Stiamo creando un mondo dove tutti possano entrare senza privilegi o pregiudizi basati su razza, potere economico, militare, o stato sociale. Stiamo creando un mondo dove chiunque, ovunque possa esprimere le proprie opinioni, non importa quanto singolari, senza paura di venire costretto al silenzio o al conformismo.”

Bene, questo mondo è stato creato ma il risultato non è quello voluto da Perry!

Non a caso un’altra delle figure fondamentali nella storia del web, il cofondatore di twitter Evan Williams, ha pubblicato le sue scuse per il contributo che il social media potrebbe aver dato alla vittoria elettorale di Donald Trump, affermando che “The Internet is Broken” e che “And it’s a lot more obvious to a lot of people that it’s broken”.

Ma cosa si è rotto?

Per prima cosa bisogna specificare che la democrazia della Rete non ha funzionato: ha un sacco di pecche, dilaga l'odio e la violenza che alberga principalmente sui social che hanno preso il posto dei newsgroup.

Gli stessi giornali hanno iniziato ad usare i social network come fonte di informazione principale perdendo la loro libertà di giudici della notizia e non solamente semplicemente coloro che la riportano.

Il web non è poi più fatto semplicemente dalle persone (come credono i molti) ma da multinazionali che veicolano ed usano ciò che sanno di noi: negli ultimi anni abbiamo messo tutti i nostri dati, le nostre abitudini e le nostre passioni nelle mani di poche grandi società (Facebook, Twitter, Google, Instagram ) che sanno cosa ci piace, cosa facciamo e dove andiamo.

In base ad una ricerca di Tech Spartan ogni minuto vengono effettuati 600.000 login su Facebook, caricate 67000 foto su Instagram, lanciati 433000 tweet ed effettuate quasi cinque milioni di ricerche su google.

Ma come si è rotto?

Il primo motivo di questa “rottura” di internet siamo noi: quando abbiamo qualcosa da dire lo affidiamo a qualcuno che lo utilizzerà per farci dei soldi. Per Facebook, Youtube, Twiter noi siamo sia il prodotto da vendere che il compratore. Attraverso di noi veicolano la pubblicità che arriva a noi ed ai nostri amici.

Tutto questo con l’illusione di essere liberi di scrivere ed esprimere le nostre idee salvo poi accorgerci che alla minima infrazione a quello che loro considerano “giusto” veniamo puniti con una sospensione temporanea o definitiva del nostro account, ma quando siamo noi a dover fare una rimostranza ci troviamo impossibilitati a farlo!

Cosa possiamo fare?

Il web si è dimostrato come il fuoco di Prometeo: donato agli uomini per uno scopo nobile viene da loro stessi distorto.

Non demonizziamo i social network: sono aziende e come tali devono generare dei profitti ed hanno trovato il modo di generare i profitti tramite le nostre debolezze e le nostre vanità: non viene più premiato il contenuto ma la visibilità di un post ( o notizie o foto).

Quindi siamo noi i primi che dobbiamo imparare a cambiare i nostri comportamenti: impariamo semplicemente ad avere buon senso e capacità di non esagerare quando si ha una tastiera fra le mani, cerchiamo meno autocelebrazione e impariamo a condividere dei contenuti di qualità…

sempre che si abbiano dei contenuti da condividere!
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