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By Filippo Brunelli


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Assistenti vocali e privacy
Assistenti vocali e privacy
La mancata consapevolezza dell’uso della tecnologia a volte ci porta a perdere alcuni diritti fondamentali che abbiamo guadagnato come quello alla privacy.
Non è insolito, quando un comune decide di installare delle telecamere di videosorveglianza in una via o in una zona di una qualche città vedere la nascita di comitati contrari che si battono in nome della difesa della privacy dei cittadini. Non meraviglia poi vedere quelle stesse persone che fanno parte dei comitati "dettare" un promemoria o un messaggio da inviare al loro assistente vocale o, una volta rientrate a casa, dire: "Alexa - o Cortana, o google- fammi ascoltare della musica".
Che relazione c’è tra le due azioni? Possiamo dire che entrambe sono un accesso alla nostra privacy, ma mentre nel caso delle telecamere il loro uso è regolamentato da leggi e il loro scopo è quello di una maggior tutela del cittadino, nel caso degli assistenti vocali, invece, non vi è alcuna regolamentazione specifica (se non quella generica sull’uso dei dati personali) e lo scopo è quello di fornirci un servizio personale.
Quello degli assistenti vocali non è un fenomeno nuovo anche se solamente negli ultimi anni ha iniziato a svilupparsi e ad essere veramente funzionale, grazie al miglioramento delle tecnologie di Machine learning e delle intelligenze artificiali.
A memoria di chi scrive già alla fine degli anni ’90 del secolo passato si iniziavano a vedere i primi programmi che permettevano di controllare il computer tramite la voce, aprire chiudere i programmi, dettare una mail, leggere un testo, prendere appuntamenti nel calendario ricordandoli e molto altro ancora. Uno dei primi software a funzionare nei computer domestici fu messo in commercio nel 1997 dalla Dragon System con il nome di "Dragon Naturally Speaking" ed era uno dei più sofisticati programmi di controllo del computer tramite l’uso di un linguagio naturale; la stessa Microsoft nella beta del sistema operativo WindowsNT5 (che poi diventerà windows 2000) aveva preinstallato un assistente vocale che si attivava tramite “Hey computer!” seguito dal comando. Ad esempio si poteva dire "Hey computer! start running word" ed il computer faceva partire il programma word.
Il problema di questi programmi era che avevano bisogno di molto tempo per "imparare" a capire la voce di chi parlava ed i comandi che venivano invocati, oltre a necessitare di molte risorse delle macchine sulle quali giravano.
Oggi ogni smartphone è dotato di assistente vocale, i computer dotati di windows10 hanno anche loro un loro assistente vocale chiamato Cortana, mentre le grandi compagnie del web sviluppano i loro assistenti che si integrano con i device di casa senza bisogno di un classico computer, come ad esempio Amazon Echo, o Google Home.
La prima azienda che nel secondo decennio del nuovo millennio diede un importante contributo alla rinascita degli assistenti vocali ed alla loro evoluzione è stata la Apple che nel 2011 lanciò Siri che ancora oggi è parte integrante dei dispositivi dell’azienda di Cupertino.
La principale differenza tra Siri (così come di tutti i moderni assistenti vocali) ed i programmi della generazione precedente è che la nuova generazione lavora tramite connessione internet in remoto: i comandi non vengono più elaborati dal processore della macchina sulla quale gira l’assistente vocale, ma la voce viene inviata ad un server remoto che la elabora e rimanda all’assistente il comando relativo alla richiesta. In questo modo il dispositivo che viene usato dell’utente diventa un semplice terminale e tutto il carico di lavoro viene relegato ai server, così si può anche evitare il tedioso passaggio del machine learning che viene già eseguito a monte.
Ma la sola intelligenza artificiale presente sui server ed il processo di machine learning dovuto a centinaia di migliaia di utenti che ogni giorno comunicano con il proprio assistente virtuale è sufficiente a creare quella interazione uomo macchina che permette di controllare una casa smart o sviluppare tutte quelle funzioni che offrono Alexa, Ok Google, Cortana e Siri senza sbagliare? Forse no!
Un reportage realizzato dalla televisione pubblica belga Vrt Nws ha messo in luce che Google, Apple e Amazon, con la scusa di migliorare i servizi offerti dagli assistenti vocali, hanno spiato la propria utenza attraverso gli stessi assistenti.
Il canale televisivo Vrt Nws sarebbe entrato in possesso di alcune conversazioni registrate "accindentalmente" senza che venisse attivato l’assistente vocale google piene di dati personali e dati sensibili come i discorsi fatti all’interno di un’ignara famiglia o quelli di un utente che parla della sua vita sentimentale. Il fatto inquietante è che non solo i dipendenti di google hanno accesso alle conversazioni ma anche le aziende partner per permettere di comprendere meglio gli ordini degli utenti. Dal canto suo l’azienda di Mountain View si è giustificata dicendo che "solo lo 0,2% di tutte le registrazioni è accessibile a chi lavora per Google e che i file audio sono comunque privi di informazioni che permettono di identificare l’utente". Mentre l’inchiesta della televisione belga era principalmente incentrata su google, un’ inchiesta del Guardian rivela che un processo analogo è operato anche da Apple tramite Siri e da Amazon tramite Alexa; Bloomberd, invece, racconta come Amazon tramite persone che lavorano anche nove ore al giorno in tutto il mondo e team di aziende appaltatrici che vanno dagli Stati Uniti alla Romania, dall’ India al Costarica, ascolta le registrazioni vocali catturate dai dispositivi Echo, le trascrive, le annota e quindi le inserisce nel software per eliminare le lacune nella comprensione del linguaggio umano da parte di Alexa e aiutarlo a rispondere meglio ai comandi.
Anche Amazon, come Google si è difesa dicendo che il campione di audio che viene ascoltato è molto limitato: "Abbiamo rigorose garanzie tecniche e operative e una politica di tolleranza zero per l'abuso del nostro sistema. I dipendenti non hanno accesso diretto alle informazioni che possono identificare la persona o l'account. Tutte le informazioni sono trattate con alta riservatezza".
In questo contesto non è facile capire se venga o meno violata la privacy dei proprietari dei dispositivi incriminati, ma, sicuramente, la faccenda ha preoccupato il garante della privacy di Amburgo che ha imposto una pausa temporanea alla pratica di 3 mesi a Google e suggerito agli altri big del settore di fare lo stesso, fino a quando non saranno concluse le indagini avviate riguardo l’uso che viene fatto dei dati raccolti: "L’uso di assistenti vocali automatici da parte di provider come Google, Apple e Amazon - evidenzia l’Autority - prova l’elevato rischio per la privacy delle persone coinvolte".
Questa pratica, comunque non è appalto esclusivo degli assistenti vocali. Anche l’azienda Facebook, si è scoperto, tendeva a trascrivere i messaggi audio delle conversazioni degli utenti della chat "messanger" e non è escluso che lo stesso sia stato fatto per whatsapp.
Quando si decide di utilizzare una tecnologia che non sempre è sotto il nostro controllo bisogna sempre considerare la possibilità di dover rinunciare a una parte, più o meno grande, della nostra privacy.
Ma il prezzo che stiamo pagando è giusto?
La risposta la sapremo solo in futuro

Deontologia nei social: obbligo o scelta?
Deontologia nei social: obbligo o scelta?
Troppo spesso ci dimentichiamo che Facebook come la maggior parte dei social network non è un nostro spazio privato ma un luogo pubblico dove chiunque può leggere quello che scriviamo, indipendentemente dal grado di privacy che usiamo. Basta solo che uno dei nostri contatti condivida un nostro post per renderlo pubblico, aumentarne la visibilità e renderlo disponibile per sempre. 
Ma in fondo è questo il motivo per il quale scriviamo i post, la ricerca di visibilità, la caccia ai Like, e rimaniamo profondamente turbati se un nostro post non viene accolto con entusiasmo dato che la maggior parte dei nostri contatti sono affini a noi per idee.
Proprio il fatto che i social network siano uno spazio pubblico ci dovrebbe portare a considerare quello che postiamo prima di pubblicarlo; così come un giornalista o un proprietario di un blog o di un sito è responsabile di ciò che pubblica anche l’accesso ai social network dovrebbe essere subordinato all’uso di una qualche forma deontologica.
Questo non succede!

Jeremy Bentham può essere considerato il padre della deontologia moderna con la sua opera postuma “Deontology or the Science of Morality” del 1834 dove elabora un'etica, chiamata appunto deontologia. 
Lo scopo ultimo di questa scienza è quello di motivare comportamenti che producano la massima felicità nella collettività che, a differenza della legislazione che agisce sugli interessi privati con la minaccia della punizione giuridica, suscita motivazioni basate sull'interesse privato. Le idee di Bentham vengono applicate negli ordini professionali moderni agli avvocati, dagli ingegneri ai giornalisti; e proprio come per questi ultimi anche per quello che riguarda i social network bisognerebbe adottare una qualche forma deontologica per chi vi accede per pubblicare post quando non sono strettamente personali.
Ma le difficoltà che si presentano sono molte e di vario tipo.
Partiamo nel considerare che la rete offre una grande libertà di espressione che si esprime sia nella fruizione dei contenuti e sia nell’espressione che spesso degenera in eccessi; fino a quando c’era quello che comunemente veniva chiamato Web 1.0 ovvero vi erano siti web che pubblicavano contenuti e utenti che vi accedevano e l’interazione era limitata ai forum ed ai newsgroup era abbastanza facile gestire questi eccessi: il proprietario di un sito web era (ed è tutt’ora) il responsabile di quanto vi appare e quindi ha tutto l’interesse a che quello che viene pubblicato rispetti determinate leggi scritte o morali; discorso analogo per i forum dove vi era un moderatore.
Con l’avvento del Web 2.0 le cose si complicano: tramite i social network chiunque può creare un profilo 
( anche falso) e diventare editore e pubblicista, solo che in questo modo si crea un limbo dove è difficile attribuire delle responsabilità; il fatto poi che il profilo venga definito “personale” crea nell’utente la falsa considerazione che tutto sia permetto e lecito sul “nostro profilo personale”.

In realtà le cose non stanno esattamente così. Come abbiamo già detto tutto quello che pubblichiamo diventa subito disponibile e usufruibile da tutti e quindi dovremmo sempre pensare prima di pubblicare qualcosa.
Un esempio è accaduto l’ 8 dicembre del 2014, quando il cantante Mango si accasciò sul palco durante un concerto e vi morì sotto gli occhi dei suoi fan che con smartphone e tablet stavano riprendendo il concerto; nulla di sbagliato se non fosse che nel giro di pochi minuti tutti questi video furono pubblicati sui social e la notizia si propagò, prima di diventare ufficiale e che ne venissero informati i famigliari. Nel caso di un giornalista che fosse venuto a conoscenza della notizia avrebbe dovuto attendere che la famiglia ne fosse informata prima di divulgare la notizia, ma anche i giornalisti, in questo caso, per non “bucare” la notizia si sono visti costretti a pubblicarla.

Un altro problema che si presenta con i social network è la loro atemporalità. Il termine virtuale (che oggi è tanto usato) ha origine nel latino medioevale, deriva da “virtù”, e indica ( secondo Tommaso d'Aquino) la potenza attiva in grado di passare all’atto e diventare attuale. Questa è la rete e questi sono i social network dove tutto è attuale sempre e per sempre, dove il virtuale è diventato reale: una notizia o un post di anni fa può essere ripubblicato o ripresentato e ritorna ad essere attuale, decontestualizzato da quelli che sono il tempo e gli avvenimenti che lo hanno generato. I nostri post, una volta pubblicati, rimangono per sempre rendendo difficile l’esercitare il diritto all’oblio (da non confondere con il diritto all’oblio del GDPR).

Gli utenti del web sono sempre più fornitori di informazione e hanno creato una forma depravata di city journalism dove tutti sono fornitori di informazioni ed editori di se stesse senza esserne responsabili.
La mancanza di regole però deve essere riempita. Il solo articolo 21 della costituzione (libertà di espressione utilizzando ogni mezzo) non può essere preso a pretesto per creare l’anarchia informativa.
Quando i legislatori hanno scritto l’articolo 21 i mezzi di comunicazione erano limitati ai giornali, radio e Tv che stava nascendo ma che comunque erano sempre vincolati a degli editori che ne dettavano le linee guida deontologiche. Anche con la nascita delle radio libere degli anni ’70 del ventesimo secolo e delle televisioni commerciali degli anni ’80 c’era sempre un certo controllo deontologico sull’informazione.
Con la diffusione del web negli anni ’90 ed in particolare la nascita del web 2.0 si è diffusa l’idea di diritto alla libertà di espressione per tutti senza doverne avere i doveri.
Mentre per un sito o un blog il proprietario può essere considerato l’editore oltre che il pubblicista e ne risponde nei social network non è così: il social (ad esempio Facebook) diventa coproprietario dei nostri post e li può vendere o condividere a suo piacimento, ma non ne è direttamente responsabile e viene a mancare quello che può essere considerata la figura dell’editore.

La soluzione sarebbe facile, basterebbe che un social network al momento dell’iscrizione facesse accettare delle clausole “morali e deontologiche” che impongano, a chi è fruitore del servizio, di rispettare il diritto alla dignità personale delle persone, alla giusta informazione non decontestualizzata, al rispetto della privacy e all’oblio di altri che vengono nominati, regole simili a quelle deontologiche dell’ordine dei giornalisti per notizie di carattere pubblico, dato che spesso sono assimilabili ad essi.
Bisogna poi che chi si iscrive abbia la coscienza e la conoscenza che entra in un mondo dove tutto è pubblico, ma difficilmente un dodicenne (visto che è l’età minima per iscriversi a Facebook) ha la consapevolezza di ciò; bisogna sapere che il diritto alla deindicizzazione che applicano i principali motori di ricerca non porta automaticamente al far sparire da internet quello che abbiamo scritto, detto o pubblicato.

Quello che serve è uno sforzo comune tra autorità centrali (esempio parlamento europeo) e le grandi aziende del web 2.0 per creare prima delle regole che prima diventano un obbligo in quanto imposte ma poi si trasformano in regole implicite da tenere, sull’uso dei social e di ciò che vi si pubblica.
In realtà l’Italia ha già iniziato un processo per la regolamentazione deontologica di internet: nel 2015 viene redatta dal consiglio dei ministri la “Dichiarazione dei diritti in Internet” dove nell’articolo 9 comma 1 dichiara :” Ogni persona ha diritto alla rappresentazione integrale e aggiornata delle proprie identità in Rete”. Quando parliamo di identità intendiamo non solo l’aspetto fisico, il nome ed il cognome ma anche le opinioni, i valori e quant’altro identifichi una persona nella sua completezza in quel determinato periodo e luogo; estrapolare, tagliare o riproporre post, frasi o immagini senza tener conto di questo è una violazione di quanto sopra.
Ancora più interessante è l’articolo 11 nella sua interezza: “1. Ogni persona ha diritto di ottenere la cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei riferimenti ad informazioni che, per il loro contenuto o per il tempo trascorso dal momento della loro raccolta, non abbiano più rilevanza pubblica. 2. Il diritto all’oblio non può limitare la libertà di ricerca e il diritto dell’opinione pubblica a essere informata, che costituiscono condizioni necessarie per il funzionamento di una società democratica. Tale diritto può essere esercitato dalle persone note o alle quali sono affidate funzioni pubbliche solo se i dati che le riguardano non hanno alcun rilievo in relazione all’attività svolta o alle funzioni pubbliche esercitate. 3. Se la richiesta di cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei dati è stata accolta, chiunque può impugnare la decisione davanti all’autorità giudiziaria per garantire l’interesse pubblico all’informazione.” Quando noi riproponiamo un post di 10 anni fa, senza nessun collegamento a vicende attuali, solo per screditare questa o quella persona violiamo questo articolo.
Nell’articolo 12 poi si parla di obblighi da parte delle piattaforme digitali nei confronti degli utenti, mentre nell’articolo 14 al comma 1 si legge:” Ogni persona ha diritto di vedere riconosciuti i propri diritti in Rete sia a livello nazionale che internazionale.”; la dichiarazione finisce con il comma 7 che mette in evidenza la necessità di creare strutture nazionali e sovranazionali: ”La costituzione di autorità nazionali e sovranazionali è indispensabile per garantire effettivamente il rispetto dei criteri indicati, anche attraverso una valutazione di conformità delle nuove norme ai principi di questa Dichiarazione.”
Per chi volesse approfondire il testo integrale è disponibile sul sito della camera dei deputati.

Come si vede in Italia il problema di una forma di regolamentazione è molto più sentito che in altri paesi ( come ad esempio gli Stati Uniti) dove prevale il principio di libertà di espressione sopra ogni altro.
Per adesso, comunque, per quanto ci riguarda anche quando pubblichiamo qualcosa su un social network dobbiamo ricordarci sempre che siamo vincolati alle leggi del nostro paese in materia, quindi esiste il codice civile e penale, bisogna rispettare le regole sui diritti d’autore, sull’implicito consenso se pubblico foto che raffigurano in primo piano una persona, se posto dei fotogrammi tratti da un film non devono essere della scena madre, se posto un concerto o una rappresentazione teatrale non superare i 3 minuti, quando cito qualcuno o parte di un libro mettere sempre la fonte e i riferimenti senza decontestualizzare la frase e tutte le altre regole che esistono per l’editoria classica anche se sono un semplice utente di facebook.
Siti web ikea vs artigianali
Siti web ikea vs artigianali

Quando si decide di fare un sito web, per prima cosa bisogna decidere il tipo di "stumento" da utilizzare. Principalmente ci si orienta tra l'affidarsi ad un CMS e l'affidarsi a un Frameworks1 ( tralasciamo i classici  siti web statici fati solamente in HTML e CSS in quanto obsoleti). Per capire di cosa stiamo parlando iniziamo con il dire che i CMS (Sistemi di gestione dei contenuti) riducono, per l'utente che lo usa, la necessità di avere conoscenze specifiche di programmazione, mentre un frameworks fornisce una serie funzionalità che è possibile utilizzare per creare un sito personalizzato.


Cosa sono i CMS
I CMS, come abbiamo detto sopra, sono un sistema che permette di gestire i contenuti senza la necessità di una conoscenza specifica.  Tra i Content Management Systems più famosi spiccano Wordpress, Joomla!, Drupal, Magneto, Wix.
Le caratteristiche di ogni CMS sono diverse ma il loro nucleo e metodo di utilizzo è suppergiù il medesimo:

  • l'utente installa sul suo server il CMS tramite semplici passaggi (solitamente 1 o 2)
  • sceglie un template2 tra quelli disponibili
  • Inserisce i contenuti
  • Attiva eventuali Plug-in3

Da questi passaggi si evince che un CMS non necessita di nessuna conoscenza di programmazione in quanto si bassa su moduli preinstallati.


Cos'è un Frameworks
Un framework è un'architettura logica di supporto su cui un software può essere progettato e realizzato (quindi non è un linguaggio di programmazione!). La sua funzione è quella di creare una infrastruttura generale, lasciando al programmatore il contenuto vero e proprio dell'applicazione. Lo scopo di un framework è infatti quello di risparmiare allo sviluppatore la riscrittura di codice già scritto in precedenza per compiti simili.
Un Framework permette di interagire con un linguaggio di programmazione (e, come nel caso di .Net, di compilarne il codice).
I frameworks più famosi per la creazione di applicazioni web sono:

  • .Net ,che può interagire con diversi linguaggi che vanno dal C# al Vb.Net
  • Laravel e Symfony, che interagisce con PHP
  • Angular e Node.js, ottimi per Jscript
  • Django, creato per Phyton
  • Ruby on Rails, ottimo per usare Ruby

Si capisce subito che utilizzare un Frameworks richiede conoscenze specifiche e necessita di più tempo per la realizzazione di un progetto.


Personalizzazione
A chi utilizza principalmente i CMS per creare siti web piace molto il motto "perché reinventare la ruota se esiste già?" per riferirsi al fatto che per i CMS esistono centinaia di migliaia di templates disponibili (gratis o a pagamento)  tra i quali scegliere e quindi non ha senso sforzarsi nel creare del nuovo codice e dei nuovi layout per un progetto web. In realtà la maggior parte di chi utilizza i CMS non ha molte conoscenze di programmazione e tende a nascondersi dietro questo modo di pensare.
Tramite un CMS, infatti si hanno a disposizione, come già accennato sopra, tutta una serie di strumenti, tools e plug-in tra i quali scegliere e facilmente installabili e configurabili ma…
Potrebbero insorgere complicazioni quando è necessario che il sito web si adatti alle proprie esigenze specifiche.
Con un framework, invece, si deve creare un progetto da zero, il che porta a realizzare caratteristiche uniche e distintive: i framework sono altamente personalizzabili mentre un  CMS ha in genere dei limiti.
Con un CMS, ad esempio,  non è possibile modificare la funzionalità di base o non si aggiornerà correttamente, mentre un framework non ha limiti!
La realizzazione di un progetto web tramite un frameworks anziché di un CMS comporta, quindi, dei tempi di lavorazione più lunghi (tenendo conto della progettazione, debug4, ecc.) ma un grado di personalizzazione maggiore.


Sicurezza
Sucuri (azienda leader nel monitoraggio e protezione dei siti web) ha rilevato che nel 2018 la maggior parte dei siti web hackerati (90%) erano fatti tramite Wordpress (che è il CMS più utilizzato), seguiti da Magneto e Joomla!.
Gli esperti hanno rilevato che la maggior parte degli attacchi avvenivano tramite plug-in o non aggiornamenti dei sistemi stessi.
Il motivo di questa grande quantità di attacchi è presto chiarita: i CMS ed i relativi Plug-in, sono per la maggior parte progetti Open Source5 e quindi chiunque ne può vedere il codice sorgente ed eventualmente le vulnerabilità (così come chiunque può correggerle!)
Un progetto che utilizza un frameworks, invece, è quasi sempre scritto tramite un codice personalizzato e specifico da chi lo crea e quindi (a parte le vulnerabilità delle infrastrutture) risulta meno soggetto ad attacchi hacker.
Un framework ben sviluppato è molto più sicuro di un CMS generico, anche se i sistemi di gestione dei contenuti hanno spesso plug-in scritti per rafforzare la loro sicurezza.


Flessibilità
Indipendentemente dal tipo di progetto che si vuole creare può nascere la necessità di dover integrare lo stesso con delle funzionalità non previste come ad sistemi di  CMR (customer relationship management ovvero la gestione dei rapporti con i clienti) che possano interagire con altri strumenti e/o siti, come nel caso di Salesforce6.
Un progetto sviluppato tramite un framework sarà benissimo in grado di integrarsi e modellarsi con ogni necessità, mentre un progetto creato tramite un CMS dovrà "adattarsi" in base ai plug-in disponibili oppure affidarsi alla realizzazione dei plug-in personalizzati tramite un programmatore o un' agenzia con costi molto elevati.
Certo esiste anche la possibilità di creare progetti personalizzati che si basano sul core di un CMS ma in questo caso i costi partono, spesso, dai 5.000 euro superando, a volte, i 10.000, quindi non molto lontani (a volte anzi superiori) da quelli della realizzazione di una piattaforma web tramite l'uso di un frameworks.
Quando si parla di flessibilità, quindi, un frameworks offre un grado di libertà a 360° a fronte di costi di sviluppo più alti, mentre un CMS risulta molto più limitato con un costo minore.

 

Cosa segliere?
I CMS ed i Frameworks cono strumenti completamente diversi e la scelta di utilizzare l'uno anziché l'altro dipende da vari fattori. Prima di scegliere quale metodo di sviluppo scegliere è bene considerare alcuni punti:

  • La quantità di tempo che si è disposti a investire su di un progetto
  • La quantità di soldi che si possono/vogliono investire sullo stesso
  • L'unicità del progetto ed il suo grado di flessibilità
  • Il target al quale il progetto è destinato
  • Il grado di sicurezza di cui si necessita

Sicuramente per il blog personale che non necessita di troppe visite o anche di un semplice negozio sotto casa l'utilizzo di un CMS può rappresentare una scelta oculata, laddove, nel caso ci si affidi ad un azienda o a un professionista, i costi non siano troppo elevati.
Se il progetto riguarda invece un progetto web che deve interagire con i clienti, presentare prodotti e come target si designi traguardi elevati è meglio iniziare subito con un Frameworks ( meglio se .net) onde evitare poi di dover ricominciare tutto da capo.
Ricordiamo, infine, che pochissimi degli utenti che accederanno ad un sito web sono in grado di capire con quale tecnologia sia stato sviluppato, ma prestano più attenzione alla fruibilità del sito, ai contenuti e a quanto sia conforme alle sue necessità.


1 Per una spiegazione di cosa sia un frameworks si consiglia di leggere il precedente articolo "Php o .Net? Facciamo Chiarezza" 
2
 Il template nel web è un modello usato per separare il contenuto dalla presentazione grafica, e per la produzione in massa di pagine Web. 
3 Con il termine plug-in, in questo caso, ci si riferisce a programma non autonomo che interagisce con un altro programma per ampliarne o estenderne le funzionalità originarie. 
4Nella programmazione informatica il debug è l'attività di ricerca e correzione degli errori (bug) in un programma. 
5 Letteralmente "sorgente aperta", indica un software il cui codice sorgente è rilasciato con una licenza che lo rende modificabile o migliorabile da parte di chiunque. 
6 Salesforce è la più importante piattaforma per la gestione delle relazioni con i clienti (CRM)

Vivere senza Wikipedia
Vivere senza Wikipedia
Il 25 marzo 2019 gli utenti che accedevano alle pagine della nota enciclopedia online wikipedia hanno avuto la triste sorpresa di trovarsi la pagina autosospesa per protesta contro la legge che si stava varando in nel parlamento europeo riguardo il diritto di copywrite.
Di Wikipedia e di come, a volte, le informazioni esposte non siano sempre affidabili ne ho già parlato in un mio precedente post e non voglio tornarvi sopra, così come non voglio trattare della nuova normativa europea sul copywrite; quello che voglio evidenziare in questo mio post è invece come sia possibile (a volte anche augurabile) approfondire le ricerche online baypassando wikipedia.
I motori di ricerca, tra i vari requisiti che permettono un buon posizionamento nelle ricerche, considerano anche la popolarità di un sito e quanto il contenuto di questo sia affine alle parole ricercate dall’utente. In base a questi criteri Wikipedia compare sempre tra i primi posti (se non addirittura per primo) e l’utente medio, in generale, non cerca più fonti di informazione, ma si limita al primo (al massimo al secondo) risultato che trova. In questo modo Wikipedia guadagna sempre più posizioni ed è diventata il punto di riferimento per “sapere” qualcosa. Secondo i dati Semrush wikipedia è il sito che in Italia riceve il maggior numero di visite da Google
Il 25 marzo, però gli utenti hanno dovuto arrangiarsi come ai tempri pre-wikipedia. Nulla di grave, s’intende, il disguido è stato momentaneo, ma molti utenti hanno riscoperto la rete per le ricerche. 
D'altronde molti geek già lo facevano: se si voleva avere delle informazioni su di un film meglio andare su mymovie.it che offre un database molto fornito oltre che diverse recensioni e critiche; se si vuole sapere qualcosa di matematica cosa c’è di meglio di youmath.it?
Ed in effetti se volessimo fare una prova e confrontare il risultato della ricerca per la parola “numero complesso” tra wikipedia e youmath scopriremmo che la spiegazione di quest’ultimo (sebbene più lunga) è molto più chiara e comprensibile.
Ci siamo accorti che con il passare del tempo Wikipedia tende ad essere sempre più ingombrante, diventando sempre più spesso l’unico mezzo per ricercare informazioni online e che disincentiva l’utente alla ricerca di altre fonti.
Ma il variare delle fonti anche per sedare una piccola curiosità o una trascurabile lacuna, è diventato un obbligo.
Certo molti utenti si saranno trovati spaesati, persi, impauriti senza una risposta manicheistica immediata che illumina la loro curiosità velocemente quasi che un possibile horror digitale si sia insinuato nella loro vita e, magari, hanno rinunciato alla loro ricerca aspettando che il “doomsday” wikipediano passasse.
La verità, invece, è che senza l’enciclopedia libera e collaborativa si può vivere bene, anzi ci si può informare meglio e magari confrontarsi con i nostri interlocutori portando più punti di vista di uno stesso argomento.
Certo il 1492 rimane per tutti l’anno della scoperta dell’America e dell’unificazione spagnola, ma la quantità e la qualità di come quest’informazione viene data fa la differenza, un po’ come leggere una rivista di storia o un saggio di storia sullo stesso argomento.
Whatsapp non deve essere l'alternativa ai classici SMS
Whatsapp non deve essere l'alternativa ai classici SMS

La notizia che dal 2019 Whatsapp (che conta 1,5 miliardi di utenti) smetterà di funzionare su alcuni dispositivi, insieme a quella che Google (tramite la propria app CHAT) ha intenzione di sostituire ai classici SMS mi porta a fare alcune riflessioni.


Cosa sono gli SMS
Iniziamo subito con il chiarire la differenza tra i classici SMS e i programmi di Istant Messanging.
I classici SMS sono un servizio che utilizza un protocollo riconosciuto da oltre 160 paesi che permette di scambiare brevi messaggi di testo (160 caratteri da 7 bit equivalenti a 140 byte: 1120bit di messaggio più le informazioni aggiuntive) tra gli utenti di telefoni mobili.
Il servizio di messaggistica breve sui telefoni cellulari nasce agli inizi degli anni ’90 sulla rete GSM ed è poi stato esteso sia sulle reti UMTS che quelle 3G, 4G e 5G. Tramite questo sistema di scambio dati un utente che ha uno smartphone di ultimissima generazione che si trova in Italia può tranquillamente mandare un messaggio di testo ad un utente che ha un telefono GSM vecchio di 20 anni che si trova in Congo, con la certezza che questi lo riceverà, indipendentemente da quale gestore usiamo: un messaggio sms, quando viene inviato, utilizza sei diversi tipi di protocolli, chiamati Protocol Data Unit (PDU)1; tralasciando la spiegazione tecnica di cosa serve ogni protocollo diciamo che, tramite questi protocolli, si può avere la certezza che un sms sia stato recapitato o meno.
Ultima nota tecnica: un sms può essere inviato al centro messaggi2 che provvede a smistarlo tramite vari dispositivi; oltre al telefono cellulare, infatti, posso inviare messaggi tramite modem dialup, dispositivi DMTF ( ad esempio telefono a tono), tramite internet.
Ci sono due modi di inviare sms, il primo è il classico Point to Point dove un messaggio viene inviato da un utente ad un altro, il secondo, chiamato Cell Broadcast, permette di inviare un messaggio a tutti i dispositivi collegati ad una determinata cella. Questo metodo è usato soprattutto dalle agenzie governative per allertare le persone di eventuali pericoli o altro come nel caso del ”PenforCec” (Proximity Emergency Network for Common European Communication) dell’Unione Europea nato con lo scopo di avvisare i cittadini di un attentato nella zona dove si trovano.


Cosa sono i programmi di Istand messaging
I programmi di instant messaging nascono anche loro negli anni ’90 del secolo scorso; il primo programma (che è ancora funzionante) si chiamava ICQ e, installato su di un computer, permetteva di ricevere messaggi in tempo reale e di scambiare foto e informazioni; con l’avvento degli smartphone questi programmi hanno preso il nome di APP e hanno iniziato ad evolversi offrendo più funzionalità, ma il principio di funzionamento è sempre lo stesso: tramite una connessione ad internet posso inviare una sequenza di byte ad un altro utente che utilizza il medesimo programma.


Differeneze, sicurezza e altro
Vediamo subito che mentre il primo è un servizio che usa un protocollo standard il secondo è un programma di una azienda privata che per funzionare tra due o più utenti necessita che entrambi abbiano lo stesso programma installato. Inoltre può succedere, come nel caso di whatsapp che se l’azienda decide che un sistema o un tipo di telefono non possa più usare quel programma nulla può fare l’utente per impedirlo, proprio come accadrà dal 2019 quando molti telefoni antecedenti il 2011 e che usano android 2.3.7 (ovvero Gingerbread) non potranno più usare Whatsapp, così come gli Iphone dotati di IOS7 ( ad esempio iphone4 non aggiornati) e moltissimi altri telefoni come quelli che Windowsphone 8.0.
Nel mercato degli Istant messaging sono due i programmi che detengono il primato: Messagner e Whatsapp, entrambi appartengono a Facebook.
In particolare Messanger è utilizzato soprattutto in Nord America, Australia, Francia, in alcuni paesi dell’Europa dell’est, Nord Africa, nel resto del mondo il più usato è Whatsapp ad eccezione della Cina dove è più usato wechat.


Da un punto di vista della sicurezza vediamo subito che essendo il primo (SMS) un servizio ed il secondo (IM) un programma molto spesso si preferisce utilizzare gli SMS per comunicazioni importanti e che richiedono un livello di sicurezza più elevato: le banche, per inviare i codici di accesso preferiscono usare gli SMS anziché un programma di istant messaging, così come alcuni uffici come ad esempio l’INPS per inviare la seconda parte del PIN personale preferisce un SMS o un messaggio in e-mail.
Malgrado le conversazioni di whatsapp siano crittografate ricordiamo che questo rimane pur sempre un programma (o app dir si voglia) e come tale può essere hakerato; nel 2017 un exploit permetteva di conoscere se un utente era attivo o meno o se avesse ricevuto i messaggi, lo stato dell’ultimo accesso, eccetera, malgrado nel profilo le impostazioni fossero impostate per lasciare nascoste queste informazioni.
Inoltre ci sono alcuni tools e tips online che tramite Kali OS (una distribuzione di Linux pensata per effettuare penetration test) che permettono di hakerare un account).
Whatsapp, inoltre non ci può garantire per sempre l’utilizzo che l’azienda Facebook farà dei nosti dati in futuro; nei termini della d’utilizzo si legge:
WhatsApp è una delle aziende di Facebook. WhatsApp lavora e condivide informazioni con le altre aziende di Facebook per ricevere servizi quali infrastrutture, tecnologie e sistemi che ci consentono di offrire e migliorare WhatsApp e continuare a mantenere WhatsApp e le aziende di Facebook sicure e protette.”
Ed ancora:
Oggi, Facebook non usa le informazioni del tuo account WhatsApp per migliorare le tue esperienze con i prodotti di Facebook o per fornirti esperienze pubblicitarie Facebook più pertinenti su Facebook”.
In questo caso la parola che deve preoccupare è “oggi”, in quando se “domani” l’azienda decide di cambiare e di utilizzare i dati l’utente si trova davanti ad una scelta: accettare di vedere utilizzati i propri dati personali ad un simile scopo e continuare ad utilizzare il programma oppure rifiutare e non utilizzare più il programma.
Anche se lasciassimo il programma non avremmo mai la certezza che i nostri dati vengano effettivamente cancellati perché, come si legge sulla pagina ufficiale di Whatsapp:
…la copia di alcuni materiali (ad esempio, i file di log e il registro chiamate) potrebbe rimanere nel nostro database, ma non è associata a identificatori personali. Per motivi legali (quali, gestione delle frodi e di altre attività illegali), potremmo conservare le tue informazioni..
Naturalmente l’utilizzo che un azienda fa o farà dei nostri dati non riguarda solo whatsapp ma tutti programmi.


Sfatiamo adesso uno dei luoghi comuni più famosi sulla differenza tra un sms e un messaggio via IM, ovvero che gli sms li pago mentre un messaggio di instant messaging è gratis. L’affermazione più giusta sarebbe che un IM mi cosa meno di un equivalente SMS, ma in entrambi i casi li pago. Quanto? Dipende dal profilo contrattuale che ho con il mio gestore e dall’uso che faccio dei dati.
Molte compagnie di telefonia mobile offrono, ad un costo fisso, un pacchetto che comprende minuti di conversazione, SMS e dati; al superamento della soglia, tutto quello che eccede il traffico fissato viene pagato a parte, così se supero il numero di minuti o di sms che posso usare gli altri li pago. Lo stesso vale anche per il traffico internet.
Un IM utilizza i dati e se mi limito a inviare solo un messaggio di testo di 160 caratteri sono più o meno l’equivalente di 140byte, come un SMS e avendo un profilo che mi consentisse anche solamente 2Gb mensili il numero di IM che mando sarà sempre nettamente superiore agli SMS disponibili (a meno che non abbia sms illimitati!)
Tramite IM non ci si limita a inviare solamente testo ma il più delle volte si inviano informazioni multimediali quali foto, video e messaggi audio che hanno un peso decisamente superiore.
Questo erroneo modo di confrontare SMS e IM nasce dal fatto che pochi sanno quantificare il peso di 1k.
Porto un esempio che mi è capitato pochi giorni fa : una mia conoscente voleva inviare, tramite whatsapp, due video che aveva registrato in full HD. I video erano di pochi minuti ma il peso totale era di circa 780Mb, il profilo della signora prevedeva 2GB3 al mese di dati il che equivaleva a circa 1/3 dei dati che aveva a disposizione.
In pratica non è vero che gli IM sono gratis, solo non è facile quantificarne il costo viste le variabili che entrano in gioco.


Conclusioni
Per quanto l’utilizzo di IM sia molto forte e negli ultimi 2 anni abbiano superato quello degli SMS tradizionali non è assolutamente possibile comparare le due cose. Nel primo caso, mi ripeto, si tratta di un servizio che utilizza una serie di protocolli, mentre nel secondo di programmi fatti da aziende private che possono, come si suol dire, decidere il bello ed il cattivo tempo.
Gli SMS sono e rimangono un sistema sicuro, veloce e funzionale che permette di scambiare messaggi con ogni persona dotata di un telefono cellulare o un dispositivo in grado di supportare questo protocollo.
Aspettiamo di vedere se l’idea di Google di creare un nuovo protocollo di comunicazione denominato Rich Communication System (RCS), una sorta di Sms 2.0, per mezzo del quale si potranno spedire e ricevere foto, video, Gif animate o perfino allegati sia una cosa che riuscirà a svilupparsi o meno, ma fino ad allora il servizio SMS non deve morire o essere sostituito da programmi di IM.

1 Tipo PDU Direzione Funzione
SMS-DELIVER SMSC => Telefono Invia un messaggio breve
SMS-DELIVER-REPORT Telefono => SMSC Invia il motivo di una mancata ricezione del messaggio
SMS-SUBMIT Telefono => SMSC Invia un messaggio breve
SMS-SUBMIT-REPORT SMSC => Telefono Invia il motivo di una mancata ricezione del messaggio
SMS-STATUS-REPORT SMSC => Telefono Invia lo stato di un messaggio
SMS-COMMAND Telefono => SMSC Invia un comando
Il compito principale di SMS-DELIVER e di SMS-SUBMIT è quello di recapitare i dati del messaggio e le informazioni ad esso associate alle entità SMS, che sono il telefono GSM e l'SMSC.
L'SMS-DELIVER-REPORT e l'SMS-SUBMIT-REPORT servono per notificare alle entità SMS che il messaggio non è stato ricevuto in modo corretto e che è necessaria una ritrasmissione dello stesso.
L'SMS-STATUS-REPORT contiene informazioni sullo stato del messaggio: se è stato recapitato o meno dall'entità ricevente e quando è stato recapitato.
L'SMS-COMMAND contiene i comandi che devono essere associati ad un messaggio già inoltrato mediante SMS-SUBMIT.

2 L' SMSC , ovvero il Centro Servizio Messaggi, è una macchina di tipo Store & Forward (Memorizza ed invia), che accetta messaggi da diverse fonti (modem, altri terminali digitali, altri SMSC, internet) e li mantiene in memoria fino a quando non riesce a recapitarli ai terminali mobili digitali riceventi. Il tempo massimo in cui i messaggi verranno tenuti in memoria, se l'SMSC non è in grado di recapitarli immediatamente (perchè il terminale è spento o perchè e fuori campo), dipende dal gestore di rete, ma può anche essere preprogrammato come uno speciale parametro al momento dell'invio del messaggio stesso, ed inoltre può assumere valori da 1 ora fino a qualche settimana. Trascorso tale limite i messaggi vengono automaticamente rimossi dall'SMSC e non verranno più recapitati al terminale mobile.
Ogni network digitale ha in genere uno o più SMSC; ad ogni SMSC corrisponde un numero telefonico, che programmato sul telefono GSM, consente di inviare messaggi

3 Nel 1998 è stata decisa dal SMI la differenza tra GB e Gb. La maggior parte dei computer e dei sistemi operativi opera con una logica binaria e quindi moltiplicare per 1.024 (pari a 2 elevato alla decima ) invece che per 1.000 semplifica notevolmente il calcolo ai computers.
Il gigabyte “decimale” equivale a 1.000.000.000 byte (1 miliardo di byte). L’equivalenza tra gigabyte “decimale” e byte è ottenuta all’interno di un sistema decimale, in cui il gigabyte è visto calcolato come potenza di 10. E’ usato nelle telecomunicazioni, nell’ingegneria e dai produttori dei dischi fissi ed esterni per indicare le specifiche tecniche delle loro apparecchiature;
Il gigabyte “informatico” o “binario” equivale a 1.073.741.824 byte. In realtà più correttamente dovrebbe essere chiamato gibigyte (GiB o GB) l’equivalenza tra gigabyte “informatico” (più correttamente gibibyte Gb) e byte è ottenuta all’interno di un sistema binario, in cui il gigabyte è calcolato come potenza di 2.


Possibili trend per il web nel 2019
Possibili trend per il web nel 2019

Come l’anno passato eccovi alcune considerazioni su possibili web trend nel 2019. Secondo diversi siti specialistici ci aspettano altri 12 mesi all’insegna del minimalismo e del design flat, mentre sempre più spazio lo avranno gli elementi multimediali. In pratica sembra che il 2019 confermerà le tendenze del 2018 con qualche piccola-grande novità.

Mobile first

Come più volte ripetuto negli ultimi anni, l’utilizzo dei dispositivi mobili che hanno superato i pc impone che nella realizzazione di un sito web si pensi prima alla versione mobile e poi a tutto il resto. Il 2019, però, vedrà l’abbandono delle versioni “m.” di un sito dalle funzionalità limitate, dando risalto ai design responsitive che garantiscono la medesima esperienza su qualsiasi tipo di dispositivo.

 

Velocità

In realtà la velocità dovrebbe essere il principio di base delle pagine web con un buon design: gli utenti tendono ad abbandonare un sito se non viene caricato completamente entro tre secondi, mentre fino a pochi anni fa il tempo di caricamento medio richiesto era di 5 secondi.

Da luglio del 2018 d’altronde Google, tramite il Google Speed Update, ha dato alla velocità un peso sempre più importante nel posizionamento del sito. Nella progettazione si considera quindi la necessità che prima avvenga la riproduzione dei contenuti “above the fold” (ovvero quei componenti del sito web visibili all’osservatore senza che sia necessario scorrere con il mouse) mentre il caricamento dei contenuti “below the fold” può avvenire successivamente.

Per quanto riguarda le immagini vengono salvate con il JPG progressivo in modo che il caricamento avvenga in maniera più uniforme. I giorni delle foto gigantesche, dei video non compressi e dei Javascript gonfi sono finiti!

Questo non vuol dire che le immagini e i video di grandi dimensioni non sono stati rimossi dal web design, ma verranno incorporati in modo tale da non rallentare i tempi di caricamento.

 

Minimalismo e Flat design

Rimangono invariati il minimalismo ed il flat design (che aiutano anche il caricamento della pagina) come trend per la grafica fino a sfiorare il “Brutalist design”, che non vuol indicare un design brutto ma si rifà al concetto architettonico di “béton brut”, dove l’attenzione dell’utente non viene sviata a elementi decorativi ma si concentra sul contenuto del messaggio.

I maggiori motori di ricerca, d’altronde, stanno dando sempre più importanza ai contenuti di un sito valutando anche il rapporto tra peso della pagina e testo.

Nonostante sia minimalista, questo non significa che il flat design sia noioso, ma a contrasto degli elementi verranno preferiti colori vivaci e illustrazioni con immagini semplici ed i caratteri sans-serif, la cui somma delle parti si unisce per offrire un'esperienza utente eccellente, accattivante e coinvolgente.

 

Asimmetrie e geometrie

Una nota di novità arriva dalle griglie asimmetriche: quando parliamo di griglie asimmetriche (o spezzate) e di layout asimmetrici, pensiamo subito al sistema a griglia che è stato utilizzato per decenni su tutti i tipi di layout, che aiuta il progettista a mantenere facilmente allineamento e coerenza quando aggiunge un contenuto. Storicamente, non usare una griglia ha portato a ciò che molti hanno definito design sciatti o fastidiosi che impedivano all'utente di concentrarsi sulle parti più importanti della pagina; questo era dovuto principalmente al fatto che non esistevano strumenti adatti per poter abbandonare questo tipo di layout. Tuttavia, l'asimmetria e le griglie spezzate stanno guadagnando sempre più popolarità, probabilmente a causa del fatto di aver trovato un modo per non apparire come la maggior parte dei progetti di altri siti web, mentre allo stesso tempo non sono distratti o sciatti.

Grazie all’uso sapiente dei CSS si possono creare contenuti con asimmetrie che non appaiono come la maggior parte dei progetti di altri siti web, mentre allo stesso tempo non distraggono gli utenti e non sembrano sciatti.

Nel caos controllato che nasce dalle asimmetrie trova spazio l’uso delle forme geometriche, le stesse forme geometriche basilari che si studiano a scuola come quadrati, cerchi e triangoli, il tutto disegnato facendo uso di forme vettoriali e non bitmap. Queste forme geometriche vanno ad occupare lo spazio lasciato dall’asimmetria delle griglie (la loro simmetrie aiuta a bilanciare l’asimmetria creata) e possono essere usate nel contempo per aiutare l’utente del sito nella navigazione e ad attirare l’attenzione su alcune parti che vogliamo evidenziare.

 

Mini video ed animazioni

Se fino al 2018 nelle landing page o nelle home page si tendeva a mettere uno slideshow, il 2019 potrebbe vedere (grazie all’uso dell’HTML5) sostituite le immagini da piccoli video. In realtà, per non appesantire la pagina, si cercherà di creare dei minivideo che sono dei loop; quando un utente arriva su di un sito e un video viene riprodotto in background, è probabile che resti a guardarlo perché i video attirano l'attenzione. Più un utente rimane su di un sito, maggiori sono le probabilità di conversione. Questo, a sua volta, aumenta il tuo tempo sulla metrica del sito, e più alto è il tempo medio sul sito, migliore è punteggio SEO.

Una sottile ma evidente tendenza del 2019 nel web design saranno anche le micro-animazioni che sono un modo potente per offrire un'esperienza intuitiva e soddisfacente per l’utente mentre naviga in un sito web. Ciò avviene attraverso queste piccole animazioni che aiutano l'utente a capire il sito e a convalidarlo quando si passa il mouse sopra o su un elemento, come cambiare il colore di un pulsante quando il cursore si sposta su di esso o un menu che si espande quando fa clic sul Hamburger, lo scorrimento della pagina, eccetera.

 

Chatboot

Una novità che prenderà sempre più piede nei siti che necessitano dell’interazione con l’utente (agenzie assicurative, immobiliari, siti di servizi, ecc.) sono i Chatboot.

Negli ultimi anni, interagire e comunicare con i robot è diventato sempre più normale e chatbot (o robot) stanno diventando sempre più comuni sui siti Web e sulle microinterazioni: molto probabilmente, l’ultima volta che si ha interagito via chat con un nostro gestore la maggior parte della conversazione è stata tenuta da un chatbot in attesa che un operatore fosse libero.

Ad aiutare lo sviluppatore nella creazione di chatboot vi sono diversi frameworks tra i quali segnaliamo Microsoft bot framework, Wit.ai, API.ai, and Aspect CXP-NLU.

  

Conclusioni

Il 2019 si prospetta un anno che vedrà una linea di demarcazione pur nel segno della continuità: se nel design vi saranno pochi cambiamenti nell’utilizzo delle varie tecnologie i cambiamenti saranno però importanti nel lato della programmazione, dai chatboot ai video, dall’uso sempre più impattante dell’HTML5 e dei frameworks alla razionalizzazione degli script.

Questo non vuol dire che bisogna cambiare completamente un sito web che magari è appena stato fatto, ma di non lavorare su progetti che nascono già vecchi.

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